Is 53,10-11; Eb 4,14-16; Mc 10,35-45
La vita è bella. Anche quando non è legata al successo o al potere! Il senso della vita è la vita stessa. Gesù non rimprovera tanto l’ambizione dei suoi, ma vuole regalare ai due fratelli (e a noi) il senso pieno che ha una vita donata, offerta, spesa. Questo è il segreto di una vita guidata dall’amore. Anche Giacomo e Giovanni devono cogliere il senso altissimo della loro vita, al di là del “premio” finale.
Il calice e il battesimo sono immagini della nostra pasqua dentro quella di Gesù e dicono il senso profondo della nostra vita. Gesù li rassicura che entrambi i segni saranno loro impressi a sigillo della testimonianza fino alla fine, condividendo il sacrificio d’amore del Maestro.
Chi ha potere domina e opprime, due verbi fortissimi per esprimere la consuetudine fuori dal Vangelo. “Tra voi non è così”! Gesù è categorico, non ammette eccezioni o compromessi. Il termine di paragone è il mistero stesso della sua persona e della sua opera. Per questo chi esercita male la propria responsabilità, rischia di confondere e distorcere la figura stessa del Figlio che “non è venuto per farsi servire, ma per servire e dare la propria vita in riscatto per molti”.
Gesù annuncia la sua Pasqua di morte e resurrezione e i discepoli discutono su chi sia il più grande tra loro. Oggi la domanda dei due figli di Zebedeo che vogliono essere rassicurati sul futuro, sapere adesso il premio finale: non solo un posto d’onore, ma uno di potere. E invece la vita serve a dare la vita, per amore. Certo, senza risurrezione e senza speranza di vita eterna, tutto sarebbe falso.
Gesù vince l’irritazione dei dieci raccogliendo tutti intorno a sé. E spiega, ponendo una contrapposizione assoluta fra il servizio reciproco nella comunità dove tutti sono fratelli, all’andazzo del mondo dove ci si crede a capo delle nazioni con stra-potere e forza oppressiva.
Chi è il più grande? Torna sempre questa domanda. Nel Regno di Dio è grande chi serve e il miglior servizio è quello di dare la vita. Già il servire è un po’ morire, è la croce quotidiana.
La reazione dei discepoli alla terza predizione della Passione è peggiore delle precedenti. Dopo la prima ci fu un forte diverbio tra Gesù e Pietro, il quale pensa secondo gli uomini e non secondo Dio. Dopo la seconda ci fu l’incomprensione di tutti gli apostoli, intenti a litigare su chi fosse il più grande. Dopo la terza è come se Gesù non avesse detto nulla. Anzi, due prediletti, Giacomo e Giovanni, invece di fare la sua volontà, vogliono che lui faccia la loro. È il capovolgimento del rapporto della fede.
Quest’anno, dedicato alla fede, serva a rimettere ordine nelle cose. Per esempio con il modello di Teresa di Calcutta, cristiana e serva di tutti:
Signore, mettici al servizio dei nostri fratelli che vivono e muoiono nella povertà e nella fame in tutto il mondo. Affidali a noi oggi; dà il loro pane quotidiano insieme al nostro amore pieno di comprensione, di pace, di gioia.
Signore fai di me uno strumento della tua pace, affinché io possa portare l’amore dove c’è l’odio, lo spirito del perdono dove c’è l’ingiustizia, l’armonia dove c’è la discordia, la verità dove c’è l’errore, la fede dove c’è il dubbio, la speranza dove c’è la disperazione, la luce dove ci sono le ombre e la gioia dove c’è la tristezza.
Signore, fa’ che io cerchi di confortare e non di essere confortata, di capire e non di essere capita, e di amare e non di essere amata, perché dimenticando se stessi ci si ritrova, perdonando si viene perdonati e morendo ci si risveglia alla vita eterna.
Angelo Sceppacerca