Is 55,10-11; Rm 8,18-23 ; Mt 13,1-23 (13,1-9 forma breve)
Gesù esce di casa verso la folla come il seminatore che esce a seminare. È l’amore di Dio che esce da sé per portarsi a tutti, come vangelo di salvezza. Gesù si siede in riva al mare, largo e ampio come il gesto del seminatore che sparge ovunque la semente. Come andrà a finire? Dipende dall’accoglienza dei terreni, che sono diversi fra loro. Al principio è l’iniziativa di Dio che pone la Parola nel solco della nostra vita. Il seme è buono, capace di fare cento per uno; il terreno, invece, non sempre: a volte battuto, sassoso, superficiale, infestato.
Perché Gesù parla in parabole? Perché il mistero di Dio è dato, è puro e misterioso dono dall’alto. Se non è prima dato e poi accolto non può essere compreso. Non possiamo pretendere il seme; possiamo preparare il terreno e dissodarlo da orgoglio e durezza di cuore, capaci solo di nutrire ogni nostra vanità. Gli occhi e gli orecchi dei piccoli sono beati perché vedono e ascoltano non per loro merito o capacità, ma solo per la grazia di Dio. Profeti e re rappresentano quella lunga attesa e preparazione che si compie solo nei piccoli discepoli intorno a Gesù.
La profezia di Isaia sta come monito a non prendere la pagina del Vangelo come fiaba per bambini. In essa è tutto il dramma della storia.
"Udrete, sì, ma non comprenderete,
guarderete, sì, ma non vedrete.
Perché il cuore di questo popolo è diventato insensibile,
sono diventati duri di orecchi
e hanno chiuso gli occhi,
perché non vedano con gli occhi,
non ascoltino con gli orecchi
e non comprendano con il cuore
e non si convertano e io li guarisca!".
È l’uomo ad essere seminato, visitato da Dio. È la storia che vede sempre insieme Dio e l’uomo: il nostro dramma è anche il suo. Dio patisce con l’uomo la fatica della sua vita ferita. Dio si coinvolge nel dramma perché ama e non abbandona. Nessuno scoraggiamento per le aridità e i rifiuti del passato. Il seminatore esce ogni giorno a seminare, anche oggi.
Angelo Sceppacerca