Liturgia della Parola della Veglia Pasquale (Vangelo: Mt 28, 1-10)
Liturgia della Parola della domenica di Pasqua: At 10,34a.37-43; Col 3,1-4; Gv 20,1-9
Affacciati, sulla soglia, allo spuntare del giorno. Dopo il sabato è tempo nuovo, storia da capo per l’umanità e il mondo. Due donne tornano al sepolcro, non hanno timore delle guardie e dei sigilli, ma si spaventano per il terremoto che non viene dal basso, dalla terra, ma dall’alto, dal cielo. Un angelo scende, si avvicina, sposta il grande masso che tappa la tomba e si siede, in segno di dominio, sfolgorante di luce. Ne parla solo Matteo, l’evangelista dell’angelo, a resurrezione avvenuta. Le guardie tramortiscono, ma le parole di conforto sono per le donne: vincete la paura perché il crocifisso ha vinto la morte. Cercavano il crocifisso e trovano il risorto; erano venute per ungere un corpo, ora resta loro solo il luogo dove era deposto. Nell’assenza ("non è qui"), ricevono l’annuncio della risurrezione e l’indicazione di un nuovo luogo: vi precede, è davanti a voi. Si fanno, a loro volta, portatrici della grande notizia, quando Gesù stesso viene loro incontro e si fa abbracciare e adorare, insieme alla promessa che anche i "fratelli" apostoli potranno vederlo.
Questo è il cuore e l’inizio dell’annuncio cristiano, che parte da queste due donne divenute "apostole" degli Apostoli, "eguali agli Apostoli" (isapóstolai), come ancora le chiama la tradizione orientale. Le sole a non averlo tradito, esse sono le "mirofore" che, portando l’olio profumato (myron) per ungere il corpo morto del Signore, trovano invece il "Myron", come è chiamato lo sposo nel Cantico dei Cantici, che viene loro incontro e si lascia stringere.
Dio risponde all’alba di un giorno nuovo, prima ancora che l’uomo si svegli. I segni già conosciuti nella Parola e nella storia di Israele il terremoto, l’angelo del Signore, il bagliore di luce, il fulmine, la paura dicono la presenza e la forza della salvezza di Dio, capace di rispondere ad ogni domanda e colmare ogni voragine d’angoscia. La grande pietra è rotolata via come un sasso, i soldati hanno perso ogni arroganza e sono terremotati e morti di spavento. Dio non porta vendetta, ma soccorso, speranza, fiducia nuova, possibilità di ricominciare.
Dio si fa vedere, vicino e presente, nella scena di primo mattino al sepolcro. È come la notte inoltrata della pasqua dall’Egitto, anch’essa teofania dell’angelo che passa vicino e salva, mentre ora è seduto sopra la grande roccia, vestito di bianco come la neve. Tutto l’annuncio è nelle parole "È stato risuscitato da Dio" e nel comando di andare a dirlo ai discepoli che lo vedranno anch’essi risorto.
Dio se l’era chiesto chi avrebbe potuto inviare nel mondo:"Un Angelo? Li consolerebbe… Ma potrebbe divinizzarli? Michele in persona? Combatterebbe per loro… Ma sarebbe vinto l’omicida? Un profeta? Porterebbe una parola di fuoco… Ma il cuore dell’uomo potrebbe rinascere? Un re fortissimo? Porterebbe pace e concordia… Ma potrebbero perdonarsi, senza vedere il nostro modo di essere? Un grande sapiente? Donerebbe un ideale di vita… Ma creerebbe cieli nuovi e terra nuova? Un maestro spirituale? Li guiderebbe verso la conoscenza… Ma l’uomo vedrebbe il suo Dio con la sua carne?" (D.Ange). Il vero messaggero di Dio non poteva essere altro che Gesù, il Figlio amato, della stessa sostanza del Padre, ma anche della nostra carne.
Angelo Sceppacerca