Domenica 27 febbraio

Is 49, 14-15; 1Cor 4, 1-5; Mt 6, 24-34

La ricchezza è un problema serio. Ammassarne per sé significa sacrificare la propria vita alle cose, privare gli altri del necessario, strapparci di mano il bene decisivo, la vita eterna che consiste nel ricevere dal Padre e nel condividere con i fratelli. Ancor più grave è la schiavitù del cuore sotto il dominio delle ricchezze che fanno da padrone.

La radice dell’accumulo è l’ansia, la paura che venga meno. A noi occorre la vita perché abbiamo paura di morire e, pensando che le sostanze la contengano, ne immagazziniamo quante più possibili. Eppure, più che la gioia, domina l’affanno, perché non viviamo da figli di Dio e da fratelli. È con la fede che si supera l’affanno, l’ansia, la paura perché se l’ansia di vita è data dalla paura della morte – e l’affanno è lo stile abituale di vivere – la vita è nell’essere figli del Padre e fratelli di tutti. E questo viene dalla fede. E tutto è dono, a cominciare dal lavoro che ci procura il cibo e il vestito. Il lavoro è dono, non affanno. E quando al lavoro segue la condivisione dei beni, è già vita eterna, paradiso.

Torna sei volte il verbo "preoccuparsi", "affannarsi", forse a dire che nella nostra vita c’è più tormento che occupazione; l’affanno è divisione, smembramento, perdita dell’unità, frammentazione. Chi è diviso, in angoscia, conosce la sua sorte che è la morte, anticipata e percepita già nell’affanno, nella paura. È la vita di oggi: preoccupata, divisa, ansiosa, affannata, lacerata. Con in più l’illusione che si può scampare accumulando. Invece, accade come con la manna nel deserto: se l’accumuli, marcisce.

Gesù sta parlando della giustizia più grande, quella che i discepoli devono scegliere e vivere rispetto a quella dei farisei. È la giustizia dei piccoli e dei poveri che, a saperli guardare, somigliano agli uccelli del cielo e ai gigli del campo. La loro forza sta tutta nell’affidarsi al Signore; da lui dipendono e da lui accolgono ogni dono con stupore e riconoscenza perché sono tutti belli e buoni. L’immagine degli uccelli del cielo e dei gigli del campo, che non lavorano e non filano, è la grande lode della povertà tutta affidata all’amore di Dio e, perciò, divenuta bellezza e sapienza. Non è ecologia biblica, tantomeno divinizzazione della natura. Il mondo dei figli è la casa dove il padre li incontra.

Angelo Sceppacerca