Domenica 26 settembre

Am 6,1.4-7; 1Tm 6,11-16; Lc 16,19-31

La tradizione ha chiamato "Epulone" l’uomo ricco che ogni giorno "banchettava" (epulabatur) e "povero Lazzaro" il piagato e affamato alla sua porta; "Povero, come fosse il cognome di Lazzaro. Non c’è equità tra uno che ha troppo cibo ed un altro niente, perciò il ricco sarà giudicato per non aver voluto vedere oltre il proprio piatto colmo.

Arriva la morte per entrambi e con essa non la fine di tutto ma il giudizio su ogni cosa. Il giudizio è parte grande della fede cristiana e riguarda il ritorno del Signore, che "verrà a giudicare i vivi ed i morti". Incapace di accogliere il povero, epulone è però in grado di scavare un abisso, l’inferno di una solitudine dove nessuno è invitato, né Dio, e di caderci dentro.

Il giudizio è grazia e i giorni smarriti lo invocano urgente. Disgrazia sarebbe che il mondo non venisse mai giudicato e che poveri, affamati e perseguitati mai ricevessero ricompensa, mentre ai gretti e ai violenti non fosse tolto ciò che credono loro patrimonio.I farisei si sentono provocati perché erano attaccati al denaro e si beffavano di Gesù, tentando di giustificarsi nascondendo la propria disonestà. Per chi, come i farisei rappresentati da Epulone, si rifiuta di ascoltare la Legge di Mosè e i Profeti, neanche uno risorto dai morti è capace di provocare conversione. Epulone sembra consapevole e accetta il castigo. L’unica richiesta è di mandare Lazzaro ad ammonire i fratelli ancora vivi. La risposta di Abramo è per noi e significa che la conversione nasce dall’ascolto della Parola. Oggi la parola è questo Vangelo.

C’è un abisso fra Epulone e Lazzaro. La vita del ricco è un abisso scavato nel suo cuore, fra l’io e il tu del fratello, con la vanga del "Che ci posso fare?". L’abisso è invalicabile anche dall’altro verso; né il fratello, né Dio può scavalcarlo per soccorrere l’angoscia di Epulone.Benedetto XVI, nel Gesù di Nazareth, scrive che con questa storia il Signore ci introduce nel processo del "risveglio", da un’intelligenza stolta alla vera sapienza, a riconoscere il vero bene. Nell’aldilà viene alla luce la verità già presente nell’aldiquà. Il ricco chiede ad Abramo quello che oggi tanti uomini vorrebbero dire a Dio: se vuoi che ti crediamo devi essere più chiaro. Mandaci qualcuno dall’aldilà che ci possa dire che è davvero così. È una richiesta di segni. La risposta di Abramo, come quella di Gesù, è chiara: chi non crede alla parola della Scrittura, non crederà nemmeno a uno che venga dall’aldilà. La riprova è nella risurrezione di Lazzaro di Betania quando i testimoni vanno dai farisei e riferiscono l’accaduto. Il Sinedrio si riunì per discuterne sotto l’aspetto politico e decisero di uccidere Gesù. Così non sempre il miracolo porta alla fede ma all’indurimento, l’opposto della compassione.Una cosa possiamo farla tutti – è la briciola sotto la mensa – avere compassione, ascoltare, vedere, capire, prendere a cuore.

Angelo Sceppacerca