Es 3,1-8.13-15; 1Cor 10,1-6.10-12; Lc 13,1-9
Il massacro dei galilei ad opera di Pilato, le vittime per il crollo della torre Sìloe. Pare cronaca nera e tragedie dei nostri giorni. Afghanistan, terrorismo, terremoti e alluvioni. Mancava la maledizione sul fico sterile. Eppure non finisce così. L’ultima parola è una proroga, una dose di fiducia rinnovata. Il vignaiolo che insiste con le sue premure, che cura e sostiene, che attende fiducioso, è lo stesso Gesù, l’albero buono, la vite carica di grappoli, la spiga gonfia di grano.
Dio ha sempre fatto così. A far grandi uomini come Mosé è la chiamata, prima e più della loro risposta. Dio mette (prima lettura) la sorte della liberazione di Israele nelle mani di Mosè: tocca a lui vincere la tremenda oppressione sotto il tallone del Faraone. Dio gli rivela persino il proprio nome, inaudito: “Io sono Colui che è”, l’unico che esiste, che vive e dà la vita. L’unico salvatore. Da quel momento ogni politeismo sarà inaccettabile e rifiutato (ne sanno qualcosa anche i Romani che mai piegarono quel popolo), ma anche ogni altra idolatria (di potere, di cose o persone).
Mai sulla fedeltà di Dio. I dubbi semmai sono sulle scelte del popolo, sempre bisognoso di conversione e di ripresentarsi al cospetto del Dio dei padri. Gesù usa lo stesso linguaggio, forte da sembrare minaccia, in realtà rigoroso per evitare attenuanti e furbe giustificazioni. Gesù dice che la disgrazia non è figlia della colpa, ma è simbolo di cosa accade fuori dall’abbraccio del Padre, quando la pecorella si smarrisce fra rovi e dirupi.
È saggio considerare le prove come ammonimenti e inviti a cambiare pensieri e modi di fare. Il peggio che può accadere non è il crollo di una casa, ma quello della vita oltre la vita, l’inferno eterno, tanto per esser chiari.
In quaranta passi di tempo può accadere di tutto, se si prendono sul serio: dal diluvio all’arcobaleno, dalla schiavitù alla terra della promessa (attraversando un deserto che non finiva più), dalla seduzione del potere alla libertà del servizio.
Quaresima è accettare che il vignaiolo premuroso è Gesù e che noi siamo il fico pieno di foglie e nudo di frutti. Nei confronti di Dio e verso gli altri, prossimi in ogni caso. Ma per grazia di Dio, anche stavolta abbiamo ancora un po’ di tempo. Anche quest’anno son tornati questi giorni di Quaresima. E non tocca tutta a noi la strada da fare per tornare a casa. Il padre è già sulla via e ci sta venendo incontro.
Angelo Sceppacerca