Natale del Signore

Is 9,1-6; Tt 2,11-14; Lc 2,1-14 (Messa della notte)
Is 62,11-12; Tt 3,4-7; Lc 2,15-20 (Messa dell’aurora)
Is 52,7-10; Eb 1,1-6; Gv 1,1-18 (Messa del giorno)

Notte senza tenebra quella di Natale. Notte di cambiamento; dal buio alla luce, dalla tristezza alla gioia, dalla schiavitù alla libertà; a cominciare dai pastori: la gloria del Signore li avvolse di luce. La causa è nella nascita di un bambino e Luca ci fa comprendere che nella debolezza di questo neonato si trova il dono della salvezza di Dio per tutti gli uomini. In Gesù Dio offre a tutti, senza alcuna distinzione, la sua "grazia", altro nome di un amore che non è solo promesso per l’aldilà, ma per tutto il presente della vita terrena. Dio arriva ma continua a premerci dentro l’attesa di una beatitudine finale che attira a sé tutta la storia, singola e collettiva. È un Dio amico quello che si fa bambino, e credibile è il suo amore "natalizio", tutto da contemplare nella tenerezza di un cuore pronto a dialogare a tu per tu.

Dopo gli annunci (prima a Zaccaria poi quello a Maria seguito dalla visita ad Elisabetta) le nascite, prima di Giovanni Battista, poi quella di Gesù. E le visite. I pastori, avvisati dall’angelo, vanno a Betlemme e trovano Maria, Giuseppe e il bambino nella mangiatoia e riferiscono ciò che di lui era stato detto loro. Maria e Giuseppe vengono informati pubblicamente di quanto Maria, in privato, aveva già saputo dall’angelo. I pastori informano anche altre persone dell’annuncio ricevuto e di quello che avevano visto di persona. Solo Maria non parla, ma conserva ogni cosa meditandola nel suo cuore. Come il profeta Samuele, che "non lasciò andare a vuoto una sola delle sue parole".

Gesù nasce nella povertà e nella noncuranza di tutti. Solo dei semplici pastori lo riconoscono e ne proclamano la dignità di Messia atteso dal popolo. È con i loro occhi che noi oggi, leggendo il Vangelo, ascoltiamo l’annuncio, vediamo la luce della gloria su quella capanna e incontriamo il salvatore. Quei pastori in quella notte divengono il modello dei missionari che annunciano quello che loro stessi hanno sperimentato.

Dinanzi alla capanna
Nonostante tutto, anche quest’anno torna Natale. Nonostante tutto il peccato addosso e dentro e attorno. Nonostante le distrazioni, i nastri e le luci. Nonostante il rifiuto e il non farci trovare. Abbiamo corso un anno intero. Dovremmo ricordarne i giorni. E le notti. Dovremmo ricordare le ore e i minuti. I volti, soprattutto. Per sentirci smarriti e correre di nuovo lì davanti, alla capanna. Dinanzi a quei volti di donna, di uomo, di bambino. Dinanzi a Maria, Giuseppe, Gesù. E prendere posto. Come i personaggi e le storie che ruotano attorno. Tra luci e ombre, violenze e speranze. Noi dobbiamo prendere posto. Non si merita spazio tra i volti di speranza. Ma lo vorrei. Almeno per questo desiderio, forse, posso starci anch’io in questo presepe. C’erano anche un asino e un bue, dice la tradizione. A far caldo col loro alito perché il seme, divenuto maturo, faccia pane a tutti.

Angelo Sceppacerca