Ger 17,5-8; 1Cor 15,12.16-20; Lc 6,17.20-26
Due categorie di persone, secondo il profeta Geremia, si contrappongono e si distinguono. L’uomo “che confida nell’uomo”, si fida dei potenti e si appoggia sui beni che possiede, a cominciare dalle proprie capacità. Ma il suo cuore, lontano dal Signore, è “maledetto”, perché separato dalla vita che è Dio e condannato al fallimento totale, come una pianta in terreno arido. Invece, “l’uomo che confida nel Signore”, è “benedetto” da Dio che lo colma di ogni bene ed assomiglia a un albero lungo un corso d’acqua. Così vede le cose Dio, anche se ai nostri occhi appaiono diversamente.
Geremia non sta facendo il filosofo. Nel sesto secolo avanti Cristo, il piccolo regno di Giuda, tutto quello che restava dell’antico regno di Davide, era minacciato dal gigante babilonese. C’era chi “trafficava” una politica di alleanza con l’Egitto. Il nuovo re di Giuda Manasse, figlio di Ezechia, si riteneva così scaltro da cavarsela tra le superpotenze di Egitto e Babilonia, guadagnando dall’una e dall’altra. E Geremia lo ammonisce: cosa potrà fare contro la carestia, l’invasione dei nemici ed evitare la morte? È la ininterrotta tentazione di aspettare salvezza dai potenti di questo mondo. Gesù conferma e completa le parole di Geremia. Anche lui esce da ogni retorica e reagisce con una fermezza tale che intimorì Pascal: “Il buon Gesù sa dire cose tremende”.
“Beati” i poveri, gli affamati, gli afflitti, i perseguitati. Solo loro possono rallegrarsi ed esultare. Chi sono? Gesù, prima di pronunciare le beatitudini, “alza gli occhi verso i suoi discepoli”. Sono i cristiani poveri, perseguitati e spogliati di tutto per la loro fedeltà a Cristo. Sono beati perché hanno il “Regno di Dio” che è Dio stesso, la sua infinita tenerezza, la vicinanza d’amore in Gesù. Le beatitudini incoraggiano e consolano, guariscono da ogni invidia verso chi ha “successo”, perché la speranza dei credenti è tutta in Gesù, un futuro che è anticipato nella sua Risurrezione.
Dopo le letizie, quattro avvertimenti: “Guai a voi, ricchi… che ora siete sazi… che ora ridete… e di cui tutti gli uomini dicono bene”. Il tono tremendo che riguarda la ricchezza, la sazietà, la goduria e la pubblica invidia è svelato dal rovescio della medaglia. La felicità costruita sulla chiusura del proprio cuore è precaria e falsa. Dio solo rende felici e lui non vuole altro che questa, per tutti e per ciascuno. La si trova nell’essere figli del Padre e fratelli di tutti. La verifica, il modello esemplare delle beatitudini è Gesù nel completamento della sua vita, il crocifisso risorto.
Essere figli di Dio è la ricompensa e la sintesi di tutte le beatitudini. Nello specifico, con alcune differenze. La fame e il pianto sono condizioni che devono essere rovesciate; i poveri e quelli che soffrono insulti, invece, già da ora sono nel Regno di Dio. Non c’è condanna della ricchezza in quanto tale; si dice solo che allontana dal Regno di Dio. E la letizia non è per merito, ma per grazia: l’essere figli si riceve in dono. Dio è buono e questo è un verbo che porta speranza a tutti. Tutti sono suoi figli, ma ognuno deve fare il cammino della Pasqua e imparare il modo nuovo di stare al mondo secondo il cuore di Dio e riconoscere che tutti siamo fratelli.
Quella di Gesù, quel mattino sul monte, fu una chiara proposta di cambiamento per ognuno della folla che gremiva la pianura. Lo è anche oggi per ciascuno di noi, iniziando a spostare il proprio giudizio sulla realtà, una vera conversione del cuore. Per stare dalla parte giusta, quella del Padre.
Le beatitudini riportano allo scandalo dell’essere cristiani, alla letizia che nasce dall’avere un Padre nei cieli e dal perdere la propria vita nel servizio della fraternità.
Angelo Sceppacerca