Ger 1,4-5.17-19; 1Cor 12,31-13,13; Lc 4,21-30
Il centro del Vangelo è in una indicazione temporale: “Oggi si è compiuta questa Scrittura che voi avete ascoltato”. Nel Vangelo compare poche volte, pronunciata dagli angeli ai pastori (“oggi per voi è nato il Salvatore”); a Cafarnao, dopo la guarigione del paralitico, tutti dicono, a bocca aperta, “oggi abbiamo visto delle cose meravigliose”. Poi, per tre volte, è Gesù che la pronuncia, rivolgendosi a dei peccatori: a Zaccheo (“oggi”, in questa casa, è entrata la salvezza), a Pietro (“oggi”, prima che il gallo canti, mi avrai rinnegato tre volte), al buon ladrone (“oggi” sarai con me in Paradiso). Poi c’è l’oggi del pane quotidiano chiesto nel Padre nostro. Infine, l’oggi del padre che aveva due figli e dice ad entrambi: “oggi” andate a lavorare nella mia vigna. Il primo dice subito di sì, ma poi non ci va; l’altro dice di no, poi si pente e va a lavorare.
Oggi è il presente, il solo tempo che abbiamo per domandare e per ricevere, per credere e per sperare, per amare e ricominciare. È l’unica sapienza, non solo cristiana. Un aneddoto ebraico dice che l’angelo Gabriele fu mandato da Dio per fare dono della vita eterna a chi avesse un momento di tempo per riceverla. Ma l’angelo tornò indietro e disse: avevano tutti un piede nel passato e uno nel futuro, non ho trovato nessuno che avesse tempo. Tutta la vita è in un attimo, questo, in cui siamo raggiunti dall’amore di Dio che è salvezza, misericordia, speranza. Un attimo che è così carico di vita da estendersi a tutto il tempo, il passato fino all’origine e il futuro fino all’ultimo oggi, per sfociare in un attimo che è eterno a se stesso.
Non è cosa facile per nessuno. A cominciare da Gesù che, proprio a causa di quell’oggi!, vede il volto di chi gli è davanti nella sinagoga passare dalla meraviglia alla collera. A quel punto nomina Elia ed Eliseo e i segni che quei profeti d’Israele videro compiersi fuori della patria, a favore di stranieri.
Il problema non è accettare Gesù perché è figlio di un falegname, ma perché si presenta come medico per noi che siamo feriti e come salvatore perché siamo dei perduti. Il problema è riconoscersi così, feriti e peccatori. Nessuno è escluso da quelle cure e da quella salvezza. Ce n’è per tutti, anche fuori dai confini. Dio si muove per compassione. Di quella vedova, di quel lebbroso. Di quel terremotato.
Se ti senti amato “oggi” ti senti amato sempre, fin da quando sei nato, anzi prima. È l’esperienza del profeta Geremia che ricorda l’origine della sua chiamata: “Prima di formarti nel grembo materno ti conoscevo…”. Prima che uno sia riconosciuto da un padre, Dio lo “conosce” ed è presente a lui.
Se ti senti amato “oggi” scopri con immensa meraviglia con quanto amore sei stato voluto e quale disegno Dio da sempre ha pensato per te. “Ti ho stabilito profeta delle nazioni”, portavoce di Dio, brocca colma della sua stessa compassione.
Difficile la vita del profeta, difficile la vita del cristiano. Il Vangelo non risparmia dalla sofferenza e dalla lotta di dover contestare il male e tornare a piantare oggi nella sua vigna, i valori più grandi, il diritto alla vita di chi sta per nascere e la sacralità del matrimonio, la giustizia e il diritto, la fraternità e la pace.
Difficile, ma non impossibile. Basta guardarsi attorno e trovare testimoni, semplici e veri, un po’ dovunque: in una famiglia, sul lavoro, in missione. Anche in trincea, perfino sul patibolo. Durante l’ultima guerra mondiale un prigioniero condannato a morte scriveva alla moglie: “Tu sei per me il capitolo 13 della prima lettera ai Corinzi”. È l’inno all’amore, il ritratto della carità. Che irraggia dal volto di Gesù, ma che cogli anche su quello dei suoi discepoli, anche oggi.
Angelo Sceppacerca