Ne 8,2-4.5-6.8-10; 1Cor 12,12-30; Lc 1,1-4; 4,14-21
Neemia (prima lettura) descrive un momento-chiave nella storia del popolo ebraico: dopo l’esilio (400 anni prima di Gesù) il sacerdote Esdra emana la legge che Mosè aveva ricevuto da Dio stesso. Il popolo mostra la sua profonda adorazione per la Parola di Dio: “Tutto il popolo tendeva l’orecchio al libro della legge… Si alzò in piedi… Rispose: ‘Amen, amen’ alzando le mani; si inginocchiarono e si prostrarono con la faccia a terra dinanzi al Signore”. Questo fu l’effetto della lettura: “Tutto il popolo piangeva, mentre ascoltava le parole della Legge”. La parola giudica e provoca la conversione, senza cadere nella disperazione (“Non fate lutto e non piangete”), perché genera fiducia nella misericordia di Dio e porta la gioia del banchetto, come famiglia riunita.
Anche quella che racconta Luca nel suo Vangelo è una storia di Gesù e della Chiesa come le altre, con eventi realmente accaduti e documentabili. Ma è anche una storia diversa, perché visitata da Dio. È storia di salvezza e nel Vangelo di questa domenica Gesù comincia la sua missione in una situazione che richiama il racconto del profeta Neemia. Gesù partecipa al rito del Sabato nella sinagoga del suo paese. Gli è concesso di leggere un brano di Isaia che annuncia tempo di salvezza, gioia per i poveri e scarcerazione per gli oppressi.
Un messaggio di questa misura incendia la speranza di quelli che ascoltano: lo fissano in attesa della spiegazione, dell’omelia. E Gesù sorprende e sconvolge l’assemblea, perché dice che la promessa si compie proprio in Lui e si compie “oggi” perché Lui è qui. La salvezza attesa per secoli, oggi è qui nella sua persona. È Lui che ha ricevuto ed è “pieno di Spirito Santo”. Tutto di lui è sotto la presa dello Spirito e la sua missione consiste nel portare la buona notizia ai poveri. Dal Vangelo viene anche la liberazione dei prigionieri, dei ciechi e degli oppressi perché l’oggi della salvezza di Gesù apre l’anno di grazia nel quale si cancellano i debiti e gli schiavi vengono rimessi in libertà.
Gesù, proprio a Nazareth, il suo paese, inizia il ministero e inaugura il tempo della paternità di Dio e della fraternità fra gli uomini. Il rotolo della Parola di Dio è nelle sole mani che possono aprirlo. Fuori da Gesù la Parola di Dio resta sigillata e incomprensibile, come una promessa incompiuta. La sua “omelia” non è un commento, è la realizzazione, è il “Vangelo”, la buona notizia che lui è qui, in mezzo a noi.
Fissiamo lo sguardo su di lui, allora, come quel giorno a Nazareth. Sentiremo ancora la sua voce: lo Spirito del Signore è su di me, mi ha consacrato con l’olio e mi ha mandato ad annunziare ai poveri un lieto messaggio di liberazione, ridare la vista ai ciechi e la libertà agli oppressi. In alcuni quadri antichi questo evento è descritto con una mano aperta (quella del Padre) dalla quale scende la colomba dello Spirito che a sua volta versa dal becco olio su Gesù.
Cristo è l’unico salvatore. La Chiesa, associata a lui, non deve far altro che lavorare alla salvezza di tutti con la preghiera, il sacrificio, le opere e l’annuncio del Vangelo. Abbiamo una responsabilità universale, ma ognuno può ripetere per sé le parole di Gesù: “Lo Spirito del Signore è sopra di me, per questo mi ha consacrato con l’unzione, e mi ha mandato ad annunziare ai poveri un lieto messaggio”, e farci carico nella preghiera delle divisioni, violenze, ingiustizie, sofferenze, disastri naturali, malattie, povertà, guerre, menzogne e fanatismi che scuotono il mondo come una scatola di cartone.
Angelo Sceppacerca