Domenica 20 settembre

Sap 2,12.17-20; Giac 3,16-4,3; Mc 9,30-37

Cosa non daremmo per poter rivedere quell’abbraccio con cui Gesù stringe a sé un bambino. E allora sarebbe più facile comprendere che accogliere Dio è come l’abbraccio di un bambino. La tenerezza non è mai sdolcinata; tantomeno quella di Dio. Poco prima di quella carezza a un bambino, Gesù aveva mostrato la consapevolezza della propria uccisione, ma anche la certezza della propria resurrezione. Ecco da dove nasce la tenerezza di Dio: da un amore totale, fino in fondo, fino alla morte in croce; un amore di Dio, che non si lascia soffocare dalla morte, ma riporta alla vita, rinnova, fa risorgere. Dinanzi a questo amore, che è infinita umiltà, le dispute tra i discepoli sul primato, fanno evidente quanto le vie degli uomini siano lontane da quelle di Dio. Per arrivare al Regno di Dio ci vuole tanto; ci vuole umiltà, povertà, dolcezza. E mai nessun programma politico o ideologico ha contemplato queste “strategie”, tutt’altro: orgoglio, ricchezze, onori, potere. Ma carichi di queste cose non si riuscirà mai ad abbracciare un bambino. Tantomeno Dio.

In questa parte del Vangelo di Marco, Gesù istruisce i suoi discepoli in forma privata, riservata, confidenziale. Le cose che dice loro dovranno restare nascoste fino a quando l’istruzione dei discepoli non sarà completata e il mistero del Messia interamente svelato. Anche se, nel tempo, viene prima la passione e la morte, il primato però spetta alla resurrezione. È al mattino di Pasqua che l’annuncio sarà completo in tutte le sue parti: c’è un Dio, il solo, che ci ama fino alla follia della croce, che non ci lascia nel sepolcro della disperazione, ma ci rinnova e ci risana con la speranza di una vita eterna – oltre la morte – e già piena nella comunione e nella fraternità – prima della morte.

I discepoli parlano tra loro sui posti del potere e a chi appartengono. Oppure, più in positivo, sul desiderio comprensibilissimo di poter “essere il più grande”. Gesù invece sta spiegando loro – e solo a loro! – che è possibile, nell’abbraccio tenero di un Dio fatto uomo, poter dire alla persona amata: “Tu non morirai mai!”. Dinanzi al pensiero della morte è tragicomico pensare e desiderare di essere più degli altri. Se non basta il Vangelo a riportare misura alle nostre ambizioni, ci pensa F. Nietzsche, in un testo che si riferisce al tempo della sua permanenza a Genova: “Per tutti questi esseri tumultuosi che vivono e hanno sete di vita ci sarà tanto silenzio. Alle spalle di ognuno sta la sua ombra, la sua cupa compagna di viaggio, la morte che per ognuno si avvicina! … E tutti pensano che il prossimo futuro sia tutto e ognuno vuole essere il primo in questo futuro, eppure è morte, è silenzio di morte, l’unica cosa sicura e a tutti comune in questo futuro. Come è strano che questa unica sicurezza e solidarietà non abbia quasi nessun potere sugli uomini e che essi siano ben lontani dal sentirsi quasi la confraternita della morte”.

Il Vangelo di oggi non parla di bambini e nemmeno di successo. Quello che è in gioco è il “segreto messianico”, ossia la vera natura di Gesù, la sua identità nascosta. Lo svelamento avverrà nella resurrezione, ma anche allora Dio si conserverà umile. La resurrezione di Gesù, infatti, non sarà un prodigio evidente per ogni uomo e per ogni tempo. Se lo fosse, dove sarebbe la libertà della fede? E, soprattutto, non potremmo ancora credere nell’umiltà di Dio. Nel suo abbraccio tenero di padre.

Angelo Sceppacerca