1Re 19,4-8; Ef 4,30-5,2; Gv 6,41-51
In questa parte sublime del suo Vangelo, Giovanni rimarca il rapporto che c’è fra il “mangiare” e il “bere” il “corpo” di Gesù, e il possedere la “vita”, dove “vita” indica la salvezza. È la garanzia offerta solamente da Cristo all’intera umanità. L’Eucaristia è il trionfo della vita al di là della stessa esperienza di morte, che sarà superata proprio dalla sua potenza vitale: “Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue ha la vita eterna e io lo risusciterò nell’ultimo giorno”. La risurrezione, la partecipazione alla gloria del Padre è un prodigio di “vita” che deve realizzarsi durante tutta l’esistenza umana; per questo bisogna “nutrirsi” dell’Eucaristia.
La parte conclusiva del cosiddetto “discorso eucaristico” di Gesù nella sinagoga di Cafarnao, per il suo contenuto sovversivo e provocatorio, ha generato reazioni contrastanti nella folla allora presente, e in molti anche oggi. Che le parole di Gesù fossero di “scandalo” lo si era capito già in precedenza quando era stato interrotto e interrogato più volte: quale segno dunque fai perché possiamo crederti? Costui non è il figlio di Giuseppe? Come può dire che è disceso dal cielo? E come può darci la sua carne da mangiare? Anche per i discepoli Gesù si esprime in modo duro e difficile da comprendere.
La mormorazione dei giudei conferma il legame tra il discorso del Signore e l’esodo nel deserto, dove il brontolio ha sempre preceduto e accompagnato la poca fede del popolo. Resta sempre inconciliabile la frattura e la distanza tra la realtà umana e storica di Gesù, e la presentazione che Egli fa di sé.
L’antica vicenda della manna nel deserto viene riaffermata da Gesù che ne ricorda il significato e il limite di essere stato solo un segno. Infatti, i padri che mangiarono la manna “sono morti”. Eppure il fatto di essere nutriti nel deserto da quel pane che scendeva dal cielo era un segno di salvezza divina. Con Gesù, ora, bisogna capire che quelle antiche meraviglie erano profezia e segno di quanto, ancora più grande, si compie nel Figlio di Dio: chi mangia del corpo di Gesù, il vero “pane che discende dal cielo”, non muore, perché esso nutre per la vita eterna.
Il pane è la carne di Cristo! La sua corporeità, il suo essere uomo tra noi, la povera umanità che ha assunto, è il pane che dà la vita eterna perché essa è stata “data”, cioè offerta, immolata. E l’uomo è strappato alla morte e viene risuscitato “nell’ultimo giorno”, ma già ora chi crede in Cristo possiede la vita eterna.
“Come il legno della vite, piantato in terra, dà frutto a suo tempo, come il grano di frumento, caduto in terra e marcito, sorge molteplice, allo stesso modo i nostri corpi, nutriti dell’Eucaristia, deposti in terra e qui dissolti, risorgeranno a suo tempo perché il Verbo di Dio elargirà loro la risurrezione a gloria di Dio Padre. Dio non ha… tollerato che ci dissolvessimo nella terra” (Ireneo di Lione).
Angelo Sceppacerca