Domenica 23 agosto

Gs 24,1-2.15-17.18; Ef 5,21-32; Gv 6,60-69

Persino i discepoli non reggono il peso delle parole del Signore: “Questa parola è dura! Chi può ascoltarla?”; è evidente che non si tratta tanto di un modo d’esprimersi, quanto di contenuto. La difficoltà è sulla persona di Gesù che si rivela come il Figlio di Dio, unica via di scampo. Questo rapporto con Dio appare inammissibile ed è motivo di scarto da parte dei discepoli.
“Questo vi scandalizza?”, chiede Gesù ai suoi. Ora che si è pienamente rivelato, chiede adesione a sé. Dinanzi a lui, però, si erge il muro dell’incredulità. Anche i discepoli entrano in una crisi che porta molti ad allontanarsi da lui. Il dono di Dio e l’incredulità dell’uomo hanno una storia lunga alle spalle, basta ricordare Adamo nell’Eden e il lungo cammino del popolo verso la terra promessa.

Gesù vede che gli apostoli sono sconcertati. È lo scandalo per qualcosa di grande, di divino, attribuito ad un uomo come tutti gli altri; incredibile è che il mistero di Dio sia raccolto e concentrato nella persona di Gesù di Nazareth. L’Ascensione al cielo viene citata come evento che conferma l’origine divina del Figlio: la Parola di Dio viene dall’alto ed è incomparabile con la più sapiente delle parole umane che nascono dalla carne. Solo Dio può concedere l’incontro della “carne”, la condizione umana debole e ferita, con il suo Spirito. È Spirito che fa passare dalla morte alla vita.
Tra i Dodici s’insinua persino l’ombra del tradimento, ultima piega della sfiducia. Accanto a quelli che non credono c’è anche “colui che lo avrebbe tradito”. Giuda è uno dei Dodici; dunque anche noi che leggiamo questa pagina, pur essendo fra i credenti della comunità, possiamo rischiare il tradimento, pur in forme diverse e nuove rispetto all’iscariota. Nondimeno persino il tradimento è nelle mani di Dio, come atto di consegna del Cristo all’umanità, al di là delle intenzioni e delle responsabilità degli uomini.

La domanda rivolta ai Dodici – “Volete andarvene anche voi?” – è per scuoterli e confermarli nella fede in Lui. Le parole di Pietro – “Signore, da chi andremo? Tu hai parole di vita eterna e noi abbiamo creduto e conosciuto che tu sei il Santo di Dio” – sono il frutto del suo cammino di fede. Pietro aderisce a Gesù e alle sue promesse, anche se non ne capisce il modo. Pietro ama sinceramente il Maestro e le sue parole, anche se ora non ne comprende a fondo il significato. Pietro è all’inizio della fede; per compierla avrà bisogno dell’esperienza successiva, comprese le fughe e i rinnegamenti.

L’essere discepolo non esonera dalle prove, forse addirittura le accentua. Questo vale anche per i Dodici, non ci sono garanzie per nessuno. Sant’Agostino commenta: “Gesù vuole dimostrare che egli era necessario a loro, e non loro erano necessari a Cristo… Se tu non sarai con Dio, ne sarai diminuito. Tu non lo fai più grande, ma senza di lui tu diventi più piccolo… Pietro rispose per tutti, uno per molti, l’unità per la molteplicità”.
Questa pagina del Vangelo si presenta acerba e ruvida perché contrappone senza scampo due visioni. La nostra, come quella di Adamo, che immagina un dio sul quale abbiamo proiettato il nostro egoismo, la smania di avere, di potere e di farsi vedere. L’altra, di un Dio che è nient’altro che amore, nei segni della condivisione, del servizio e dell’umiltà. Noi, polvere di terra, in cerca di autosufficienza. Dio, l’onnipotente, tutto proteso nel dono di sé fino alla morte.

Angelo Sceppacerca