Domenica 2 agosto

Es 16,2-4.12-15; Ef 4,17.20-24; Gv 6,24-35

C’è spesso folla attorno a Gesù. Mai però anonima. Noi stessi non siamo più anonimi in una folla anonima: ognuno è insostituibile davanti a Dio. Non siamo più soli in un universo gelido e vuoto, insensibile e sordo, come suggerisce il lamento del grande poeta francese Paul Valery, ma che ben esprime il bisogno di Dio che si annida nel cuore dell’uomo moderno: “Solo. Sempre più solo. Tutte le cose mi circondano, ma non mi toccano affatto […] Se ci fosse un Dio, visiterebbe, credo, la mia solitudine, mi parlerebbe familiarmente nel mezzo della notte”. In Gesù Dio è venuto davvero a visitare la nostra solitudine; è venuto a parlarci nel mezzo della notte.

Lo sguardo del Vangelo oggi è sulla gente, che segue i movimenti di Gesù e dei discepoli. Prima essa nota che i discepoli sono andati via da soli, poi che non ci sono né Gesù, né i discepoli e allora si mette alla ricerca di Gesù, una ricerca che tutti gli uomini fanno, perché hanno bisogno di lui. Gesù non critica la ricerca, ma ne corregge la direzione: non cercare il cibo che perisce, ma quello che rimane per la vita eterna e che è Lui stesso.
La folla che raggiunge Gesù a Cafarnao, al di là del mare, pone due domande sulle opere da fare: che cosa dobbiamo fare noi? Che cosa fai tu? Gesù prova a dire che Dio solo opera, “fa”: manda il Figlio e il Figlio soltanto obbedisce al padre e dà la sua vita per il mondo. Anche nella storia degli israeliti e di Mosè, in fondo, quello che ha fatto tutto è stato sempre “il Padre mio”.

Siamo riportati sempre all’incontro con Dio; tutto si raccoglie nello stesso avvenimento di salvezza: il dono che Dio fa di se stesso all’umanità. Il dono di Dio è sempre Gesù, sia nel segno dell’acqua-fonte per la samaritana, sia nel segno del pane. “Venire a me” equivale a “credere” in Lui.
Se crediamo che il Cristo risorto ci è vicino, quale migliore compagno di viaggio potremmo desiderare? Questa è la ragione perché la domenica i cristiani hanno la necessità di andare alla Messa: per ascoltare la Parola e ricevere nell’Eucaristia, il pane vivo disceso dal cielo. Non da una semplice obbligazione morale, ma dalla comunione con Cristo nasce il desiderio di aiutare gli altri e di condividere con loro anche la gioia della fede.

La presenza più intensa e completa del Signore Gesù è quella eucaristica: “Io sono il pane vivo disceso dal cielo. Se uno mangia di questo pane vivrà in eterno”. C’è continuità tra l’Incarnazione e l’Eucaristia, tra il Bambino della mangiatoia di Betlemme, il Crocifisso Risorto della Pasqua e il Santissimo Sacramento dell’altare. Anche la povertà della mangiatoia e della croce si ritrovano nella povertà del segno sacramentale: un pane dato a mangiare e un po’ di vino dato a bere. Anzi se nel Bambino e nel Crocifisso si nascondeva solo la divinità di Gesù, nell’Eucaristia si nasconde anche la sua umanità. E noi, superficiali, distratti e indifferenti, non ci accorgiamo che Cristo è in mezzo a noi.
Accogliere Gesù come pane della vita disceso dal cielo significa credere in lui e mangiare la sua carne e bere il suo sangue. La spiritualità cristiana è biblica ed eucaristica, come la Messa è in due parti, liturgia della Parola e liturgia Eucaristica. Ci sono – purtroppo – Messe senza cristiani, ma mai cristiani – veri – senza la Messa.

Angelo Sceppacerca