Pr 9,1-6; Ef 5,15-20; Gv 6,51-58
“Ecco il pane degli angeli, pane dei pellegrini, vero pane dei figli: non deve essere gettato”: pane degli angeli che diventa pane degli uomini. Così canta un’antica sequenza. Parlare dell’Eucaristia è arduo, meglio farlo stando in ginocchio: vengono meglio le parole e poi, davanti al Sacramento che è detto Santissimo, la posizione giusta è proprio quella dell’adorazione. L’Eucarestia è il segno della presenza del Signore, del suo sacrificio sulla croce e della vita eterna della quale ci ha reso partecipi. Il dono del Padre agli uomini, dall’inizio alla fine della storia, è sempre sotto il segno del corpo: prima corpo incarnato che soffre e muore sulla croce. È questo corpo ferito che risorge e che Gesù mostra e fa toccare agli apostoli. Ma suo corpo è anche la Chiesa, corpo mistico di Cristo. Infine suo corpo è il pane eucaristico, corpo sacramentale che nutre, coloro che lo mangiano, con la vita divina che è vita eterna. Solo Gesù, infatti può dare la vita divina e solo la sua vita è eterna.
Tutto inizia, però, con un dubbio, un gesto stizzoso d’incredulità: “Come può costui darci la sua carne da mangiare?”, dicevano i giudei. Certo, il linguaggio di Gesù è estremamente realistico, parla di mangiare e di bere, di carne e di sangue. Ma dietro questo realismo c’è anche l’indicazione del mistero soprannaturale: l’Eucaristia è il pane disceso dal cielo da cui fluisce il dono della vita eterna. A volte l’incredulità nasconde un falso pudore che, in realtà, è orgoglio presuntuoso: non possiamo mangiare l’Eucaristia finché non ne siamo degni.
Già nei primi secoli, Giovanni Cassiano scriveva: “Se noi, per ricevere la comunione, dovessimo attendere di essere degni, non dovremmo farla neppure una volta l’anno… (chi pensa così) cade in una più grande presunzione d’orgoglio perché per lo meno proprio il giorno in cui si comunicano essi si giudicano degni della comunione”. Non i santi vanno all’Eucaristia, ma l’Eucaristia santifica e trasforma in sé. Chi mangia assimila il cibo. Qui, invece, è il corpo e il sangue di Cristo che ci assimila a lui: divora ogni nostra infedeltà e ci fa vivere del suo essere Figlio, che tutto riceve e tutto dà. La storia della salvezza si era aperta con la proibizione di mangiare il frutto proibito. Ora si compie con il comando di mangiare il frutto dell’albero della vita. Questo sì che ci rende davvero come Dio!
Angelo Sceppacerca