Domenica 5 luglio

Ez 2,2-5; 2Cor 12,7-10; Mc 6, 1-6

Il Vangelo di Marco ha una sua logica, un suo disegno dispiegato nell’arco di alcune sezioni. La precedente terminava con la reazione delle autorità che volevano uccidere Gesù. Ora se ne chiude un’altra col rifiuto dei suoi concittadini e dei suoi parenti. Non c’è solo il rifiuto di Gesù da parte del suo popolo; c’è anche quello dei credenti in Lui. È l’eterna cecità dell’uomo di fronte al mistero di Gesù che è scandalo per i giudei e follia per tutti i benpensanti. Gesù non trova la fede e non può compiere i segni, i miracoli; si meraviglia perfino di tanta incredulità.

L’incredulità nasce dalla delusione che la presenza di Dio si manifesta nel figlio del carpentiere, in Gesù di Nazareth, vero uomo. Allora come oggi non si accetta Dio nella persona concreta di Gesù. Allora come oggi, però, chi crede e ha fiducia in questo Dio gioisce proprio perché “questo carpentiere”, questo uomo rivela la potenza, la vicinanza e l’amore di Dio. Questo uomo è il crocifisso risorto e il tema dell’incredulità spinge proprio a riconoscere, nello scandalo della parola fatta carne, la rivelazione di Dio nella storia umile e concreta dell’uomo. La fede è proprio il superamento dello scandalo.

Nell’incredulità dei nazaretani si traccia il solco che divide la folla dai veri discepoli: c’è chi rifiuta e chi si lascia cambiare dall’incontro con Gesù. La fede cristiana consiste proprio nell’accettare non solo il messaggio e le opere di Gesù, ma soprattutto la sua persona. Gesù, infatti, non è un fondatore di religione, come Mosé, Buddha o Maometto; Lui è il Signore, il Figlio del Dio vivente.

Come a Nazareth, anche oggi possiamo rivivere la prima grande eresia – lo gnosticismo – quando non accettiamo il fatto che Dio sia entrato nella storia e nella carne nostra attraverso la storia e la carne di Gesù. Come a Nazareth, anche oggi si può restare stupiti dinanzi alle opere e al messaggio cristiano, e non avere fede, non comprendere come la salvezza, invece, ci ha raggiunto proprio qui e ora. La fede, da chiedere e da implorare, è giungere finalmente al cuore del mistero: l’incarnazione di Gesù, principio di salvezza. Nella storia, nel quotidiano più ordinario, il Dio eterno si fa prossimo dell’uomo.

Spesso al tema dell’incredulità si associa la figura di Tommaso quando, dopo la risurrezione, chiede di toccare le ferite e di vedere la piaga. Su questo episodio, fra i tanti, il capolavoro di Caravaggio, dove la vista quasi si unisce alle sensazioni del tatto delle dita sul corpo del Signore. È una scena dove le figure sono ingigantite e noi entriamo quasi nel quadro. Credere per fede o toccare con mano l’ineffabile? Più forte e decisiva è la misericordia di Gesù, la sua comprensione per la nostra piccola e miope fede. Il Gesù di Caravaggio è umanissimo, scosta delicatamente il sudario in cui è avvolto, per consentire al dito di Tommaso di entrare nella piaga. La mano di Gesù guida quella dell’apostolo, la bocca sembra accennare una impercettibile smorfia di dolore, mentre lo sguardo accompagna il gesto che permette all’apostolo – e a noi oggi – di vedere e toccare Lui vivo. Il quadro di Caravaggio fece, fin dal suo apparire, una enorme impressione nella Roma di 4 secoli fa. Di quel quadro si contano 24 copie, realizzate negli anni successivi; quasi un record, per non dire che tra i copisti ci sono anche Rubens e Guercino. Qual è il fatto straordinario?

Tommaso tocca un uomo vivo, s’addentra nella carne viva. Caravaggio racconta l’accaduto, nient’altro che l’accaduto. I protagonisti della vicenda raffigurati nel quadro di Caravaggio hanno abiti contemporanei alla sua epoca, mentre Cristo ha un mantello. L’episodio accadde quel giorno in Palestina, ma proprio perché Gesù è risorto, può essere toccabile con mano, anche oggi, e in qualunque altro tempo.

Angelo Sceppacerca