Is 52,13 – 53,12; Eb 4,14-16; 5,7-9; Gv 18,1- 19,42
In questo giorno la Chiesa con la meditazione della Passione del suo Signore e Sposo e con l’adorazione della Croce commemora la sua origine dal fianco di Cristo, che riposa sulla croce e intercede per la salvezza del mondo. In questo giorno la Chiesa, per antichissima tradizione, non celebra l’Eucaristia, ma fa penitenza con l’astinenza, il digiuno e le opere di carità. Dinanzi alla croce e al racconto della passione restiamo in silenzio e contempliamo il volto di Dio morto per amore. Nel suo volto, c’è anche il nostro dolore e il volto di tanti fratelli, di interi popoli.
Avete mai visto il crocifisso di Matthias Grunewald? Le tenebre immense che incombono sul mondo simboleggiano la dimensione universale e cosmica del male. Gravano sul corpo di Gesù che è già morto, ma porta ancora ben visibili i segni di una lotta atroce. Pende dalla croce come un cadavere enorme, di colore livido con ferite verdastre; ha il volto contratto, sfigurato, le mani e i piedi contorti; ha perfino lacerato il perizoma ai fianchi e incurvato l’asse trasversale del patibolo. Anche la corona di spine è enorme; anzi sembra essersi propagata a tutto il corpo, che è ovunque irto di schegge e di spine, come se uscissero dal di dentro.
“Nessuno è morto come lui”, diceva S.Brigida di Svezia, grande mistica. In realtà come dice l’apostolo Pietro: “Egli portò i nostri peccati nel suo corpo sul legno della croce” (1Pt 2,24). Egli ha sofferto non solo la passione fisica, già così spaventosa, ma anche la passione interiore dello spirito, assai più terribile. Ha sperimentato una misteriosa lontananza da Dio che gli ha fatto gridare: “Dio mio, Dio mio perché mi hai abbandonato?” (Mc 15,34). Ha preso realisticamente su di sé il peso dei peccati di tutti gli uomini con infinita desolazione, per cui, come dice S.Giovanni della Croce “rimase annihilito e ridotto quasi a nulla”. Per amore si è fatto uno con tutti i peccatori, si è immedesimato realmente con loro: “Colui che non aveva conosciuto peccato, Dio lo fece diventare peccato in nostro favore, perché noi potessimo diventare per mezzo di lui giustizia di Dio” (2Cor 5,21).
Così non siamo più soli, neppure nell’abisso più profondo del peccato e della perdizione. Nessun rifiuto e nessuna disperazione sono troppo forti per il suo amore. Il cartiglio bianco alla sommità della croce risalta sulla tenebra fitta e proclama vittoriosamente che Gesù di Nazaret è il re dei Giudei, il salvatore di tutti gli uomini. Lo stesso bianco rischiara la veste di Maria, l’Agnello che versa il sangue nel calice e il libro delle profezie in mano a Giovanni Battista. Esso attesta la vittoria sulle tenebre del male e invita alla speranza.
Conosciuta e spesso citata è una pagina dell’indimenticato vescovo di Molfetta, don Tonino Bello. “Nel Duomo vecchio di Molfetta, c’è un grande crocifisso di terracotta. L’ha donato, qualche anno fa, uno scultore del luogo. Il parroco, in attesa di sistemarlo definitivamente, l’ha addossato alla parete della sagrestia e vi ha apposto un cartoncino con la scritta: collocazione provvisoria. La scritta, che in un primo momento avevo scambiato come intitolazione dell’opera, mi è parsa provvidenzialmente ispirata… Collocazione provvisoria. Penso che non ci sia formula migliore per definire la croce. La mia, la tua croce, non solo quella di Cristo… Coraggio, fratello che soffri. La tua croce, anche se durasse tutta la vita, è sempre collocazione provvisoria. Da mezzogiorno alle tre del pomeriggio. Ecco le sponde che delimitano il fiume delle lacrime umane… Coraggio, fratello che soffri. C’è anche per te una deposizione dalla croce. C’è anche per te una pietà sovrumana. Ecco già una mano forata che schioda dal legno la tua. Ecco un volto amico, intriso di sangue e coronato di spine, che sfiora con un bacio la tua fronte febbricitante. Ecco un grembo dolcissimo di donna che ti avvolge di tenerezza. Tra quelle braccia materne si svelerà, finalmente, tutto il mistero di un dolore che ora ti sembra assurdo… Tra poco, il buio cederà il posto alla luce, la terra riacquisterà i suoi colori verginali e il sole della Pasqua irromperà tra le nuvole in fuga”.
Gesù non ha cercato la passione e la morte per se stesse, ma le ha accettate, come conseguenza del suo ministero e come premessa alla sua risurrezione. Gesù ha amato la vita, non la morte. Ha amato la vita propria e quella degli altri; quella di tutti, anche dei suoi nemici; ha cercato di far del bene a tutti, anche ai nemici. E Dio comunicò a Gesù una meravigliosa potenza, dello Spirito, benevola e misericordiosa, amica della vita e della gioia. E Gesù passò beneficando e risanando. Liberò i malati, gli indemoniati, i morti, i peccatori, i poveri, gli emarginati. Gesù aveva iniziato il suo ministero cambiando l’acqua in vino nuovo e buono in una festa di nozze a Cana di Galilea. Gesù amava la vita e la gioia e la offriva agli uomini. Non cercava la passione e la morte, non cercava la croce. Ma è stato pronto ad accettarla, liberamente, senza difendersi, per mostrare a tutti noi fino a che punto Dio ci ama. Egli ha avuto paura della morte, ha provato amarezza per l’incomprensione e il rifiuto, vergogna per l’umiliazione, senso di angoscia e di solitudine. Ma più grande è stato il suo amore per gli uomini; più grande è stata la sua fiducia e la sua obbedienza verso il Padre.
Angelo Sceppacerca