2Sam 7,4-5.12-14.16; Rm 4,13.16-18.22; Mt 1,16.18-21.24
San Giuseppe era “giusto”, cioè santo. La sua “giustizia” è intimamente legata alla sua docilità radicale al progetto di Dio. Proprio così egli divenne il “custode generoso” del Figlio dell’Altissimo. Giuseppe ha obbedito subito alla volontà di Dio: “Fece come gli aveva ordinato l’Angelo”. Una obbedienza sostenuta da una profondissima fede. Per la sua fede e obbedienza alla volontà di Dio Giuseppe è diventato come Abramo, “padre di molti popoli”, sposo della Vergine, padre legale e spirituale di Gesù Cristo e della Chiesa universale.
San Giuseppe è padre. La sua paternità non è nata dal desiderio della carne e neppure dalla volontà dell’uomo; una paternità ricevuta in dono, non cercata, ma concessa inaspettatamente, provvidenzialmente e totalmente gratuita. Dio voleva essere l’Emmanuele, il Dio-con-noi e per questo ha voluto che Giuseppe prendesse con sé la Madre di Gesù. Dio voleva dare un Salvatore al suo popolo e per questo ha voluto che Giuseppe accogliesse il Figlio di Maria come il proprio figlio e lo chiamasse Gesù.
San Giuseppe ha unito Gesù alla discendenza di Davide. Gesù ha quindi potuto rivendicare il titolo messianico di figlio di Davide. Giuseppe è, inoltre, il patriarca in cui trova compimento il tema biblico dei “sogni” con i quali Dio ha spesso comunicato agli uomini le sue intenzioni. Come Giovanni il Battista è l’ultimo dei profeti, perché indica a vista colui che le profezie annunciavano, così Giuseppe è l’ultimo patriarca biblico che ha ricevuto il dono dei “sogni”.
Secondo il celebre discorso tenuto da Paolo VI a Nazareth nel 1964, San Giuseppe nella sua convivenza trentennale con Maria e Gesù ci insegna soprattutto tre cose: il silenzio, la comunione di amore, il lavoro.
Il silenzio. Il Vangelo riporta poche parole di Maria e nessuna di Giuseppe. Silenzio contemplativo e adorante, alla presenza di Dio. “Oh! esclama Paolo VI se rinascesse in noi la stima del silenzio, atmosfera ammirabile e indispensabile dello Spirito: mentre siamo storditi da tanti frastuoni, rumori e voci clamorose nella esagitata e tumultuosa vita del nostro tempo. Oh! silenzio di Nazareth, insegnaci ad essere fermi nei buoni pensieri, intenti alla vita interiore, pronti a ben sentire le segrete ispirazioni di Dio e le esortazioni dei veri maestri”.
La comunione di amore. Giuseppe, Maria e Gesù, tre cuori vergini, abitati e ricolmi dallo Spirito Santo: cosa dovevano rappresentare l’uno per l’altro e cosa provare, tutti e tre insieme, per il Padre celeste! Rispetto reciproco, dedizione, delicatezza, prontezza all’ascolto e al servizio, perfetta unità, riflesso sulla terra della eterna assoluta unità delle tre persone divine.
Il lavoro: legge severa,ma redentrice della fatica umana, la dignità del lavoro (Paolo VI). San Giuseppe ha svolto sicuramente in modo esemplare il suo lavoro di carpentiere, come sostegno per la sua famiglia e come servizio alla società.
Per un uomo del quale non si trovano le parole scritte, ma solo i gesti d’amore compiuti, non mancano le espressioni della poesia e della spiritualità di don Tonino Bello: “Dimmi, Giuseppe, quand’è che hai conosciuto Maria? Forse un mattino di primavera, mentre tornava dalla fontana del villaggio con l’anfora sul capo e con la mano sul fianco, snello come lo stelo di un fiordaliso? / O forse un giorno di sabato, mentre con le fanciulle di Nazareth conversava in disparte sotto l’arco della sinagoga? / O forse un meriggio d’estate, in un campo di grano, mentre, abbassando gli occhi splendidi per non rivelare il pudore della povertà, si adattava all’umiliante mestiere di spigolatrice? … / … Poi una notte, hai preso il coraggio a due mani, sei andato sotto la sua finestra, profumata di basilico e di menta, e le hai cantato sommessamente le strofe del Cantico dei cantici: «Alzati, amica mia, mia bella e vieni! Alzati, amica mia, mia bella e vieni! O mia colomba, fammi sentire la tua voce, perché la tua voce è soave e il tuo viso è leggiadro». / E la tua amica, la tua bella, la tua colomba si è alzata davvero. È venuta sulla strada, facendoti trasalire e, mentre il cuore ti scoppiava nel petto, ti ha confidato lì, sotto le stelle, un grande segreto. / Solo tu, il sognatore, potevi capirla. Ti ha parlato di Jahvé. Di un angelo del Signore. Di un mistero nascosto nei secoli e ora nascosto nel suo grembo. Le dicesti tremando: «Per te, rinuncio volentieri ai miei piani. Voglio condividere i tuoi, Maria ». Lei ti rispose di sì, e tu le sfiorasti il grembo con una carezza: era la tua prima benedizione sulla Chiesa nascente. Lei ha avuto più fede, ma tu hai avuto più speranza. La carità ha fatto il resto, in te e in lei”.
Angelo Sceppacerca