Maria SS.ma Madre di Dio

Nm 6,22-27; Gal 4,4-7; Lc 2, 16-21

Inizia l’anno dinanzi al volto di una giovane donna che ha partorito nella verginità. La scena del Vangelo mostra un episodio della vita di una famiglia ebrea, ma molti elementi sono inusuali. È una famiglia povera, i visitatori sono semplici pastori – gente rude e di basso livello sociale – la culla per un primogenito è una umile mangiatoia. Inaudito è il protagonista: quel neonato è il Figlio di Dio, il Salvatore del mondo, l’atteso dalle genti. Torniamo dinanzi a quella giovane madre: definita solennemente dalla Chiesa universale (prima ancora di ogni divisione) Theotokos, Madre di Dio e, per questo, anche madre nostra. Se è doloroso vivere senza padre, lo è di più senza madre. Grazie al sì di Maria, il Figlio ci ridona la figliolanza divina: attraverso la Madre, ritroviamo anche il Padre. Si ricompone la famiglia umana lacerata fin dall’inizio della storia da ogni egoismo, sopraffazione, violenza, guerra. Sarà anche per questo che il primo giorno dell’anno è da tempo dedicato alla pace. La Giornata mondiale della pace messa in cima a tutti i giorni dell’anno, perché ogni giorno sia tempo di pace.

La promessa dell’angelo al momento dell’annuncio (il figlio che nascerà “sarà grande e chiamato Figlio dell’Altissimo”) e l’esser diventata Madre di Dio sembrano contraddetti dal luogo e dalle circostanze (una stalla, una greppia per animali); ma ai pastori questo basta, perché corrisponde alle parole dell’angelo, e lo raccontano ai vicini che, a loro volta, restano stupiti. Solo Maria resta in silenzio: vede, medita e conserva tutto nel cuore. Certamente sarà lei – dopo la resurrezione del Figlio – a raccontare a Luca questi avvenimenti dei quali fu la sola testimone, insieme a Giuseppe.
Mi sembra che ci sia un’altra ragione per accostare la festa di Maria, Madre di Dio, alla Giornata per la pace. Se la pace richiama subito i poveri, le vittime di ogni violenza, gli innocenti, i “piccoli”, è perché Maria conosce e segue la logica paradossale del Vangelo.
Il presepio è la più fedele rappresentazione del Vangelo di oggi. Non a caso, fu Francesco di Assisi, l’uomo più somigliante a Cristo, a riproporlo alle persone di Greccio, appena tre anni prima della sua morte, e alla vigilia delle stimmate, a indicare che le domande serie e vere trovano lì la risposta. Perché al centro del presepio c’è un bambino al quale fu dato il nome di Gesù, che significa: “Dio salva”.

Qui sopra è l’immagine dell’Adorazione dei Pastori, di Jacopo Tintoretto (Venezia, Scuola Grande di San Rocco). Questo è il commento di un pastore della Chiesa:
“Nella notte buia
ci accostiamo alla stalla-fienile.
Davanti a noi è un mondo di povera gente,
vibrante di devozione, generosità e tenerezza.
La Santa Famiglia ha trovato riposo su un mucchio di paglia:
Gesù Bambino, raggiante di luce, giace nella ruvida cesta;
Maria, la Vergine Madre, sollevato il velo,
lo offre agli sguardi adoranti;
Giuseppe lo contempla estasiato,
mentre siede appoggiato al grosso bastone e proteso in avanti.
Dal cielo di fuoco
emergono sembianze di angeli
e piovono intensi bagliori,
che accendono e trasfigurano
le persone, gli animali, i doni, la rozza capanna.
Mistica visione: il divino sublima l’umano”.
“Sono venuto a gettare fuoco sulla terra” (Lc 12,49).

Angelo Sceppacerca