Sir 24,1-4.12-16; Ef 1,3-6.15-18; Gv 1,1-18
Identificato nella figura dell’aquila, Giovanni è l’apostolo prediletto, l’evangelista delle altezze e delle visioni vertiginose. Il prologo del suo Vangelo, che ascoltiamo nella Messa di oggi, ne è il modello.
Il prologo contiene le grandi verità della fede: la preesistenza divina del Verbo Figlio di Dio, eterno insieme al Padre; l’incarnazione del Verbo e l’adozione a figli di Dio di coloro che credono in lui. Gesù è la grande luce che ha rischiarato le tenebre che avvolgevano il mondo. Tenebre di egoismo, di violenza, di morte, di peccato. Eppure il mondo non l’ha riconosciuto. Solo alcuni hanno accettato la sua luce e l’hanno riconosciuto: questi sono chiamati figli di Dio. Come in un quadro a forti contrasti di luce e ombra, fin dal prologo Giovanni pone Gesù come pietra di inciampo, come Colui dinanzi al quale bisogna operare le scelte fondamentali della vita. Non si può rimanere indifferenti. Giovanni, fra la luce di Dio e le tenebre del mondo, pone la carne di Gesù, il Figlio di Dio fatto uomo come noi, carne della nostra carne (nostrae carnis Deus caro factus esset, scriveva Ilario di Poitiers). Se Dio ha assunto la nostra carne, vuol dire che ogni nostra esperienza è stata vissuta, con-divisa da Lui. Ogni povertà, debolezza, solitudine, fame, malattia. Ma anche ogni nostra gioia, consolazione, comunione, salute.
Il Verbo divino, che trascende e abbraccia tutto (spazio e tempo), si è fatto vero uomo in un preciso momento storico; ha preso un cuore, un volto e un nome di uomo, Gesù. Anzi, si è fatto uomo ebreo, ha fatto proprie una lingua e una cultura particolari; ha avuto una patria e ha amato in modo speciale alcune città: Betlemme, dove è nato; Nazaret, dove è cresciuto; Cafarnao, dove ha predicato; Gerusalemme, dove è morto e risorto.
Se il Verbo si è fatto carne, il Risorto si è fatto Chiesa. E, prolungando la logica dell’incarnazione, ha voluto che anche la sua Chiesa fosse non solo universale ma anche particolare. Chiesa particolare è la comunità diocesana riunita intorno al vescovo. Ma, all’interno, la vita ecclesiale si concretizza ulteriormente nella parrocchia, dove ci si incontra, ci si chiama per nome e ci si guarda negli occhi, dove l’appartenenza può essere sperimentata come in una famiglia.
Il Verbo di Dio, che si è fatto carne e ha messo le sue radici in Israele, vuole che anche i credenti in lui siano ben radicati in una concreta esperienza di comunione, situata in un preciso contesto e nello stesso tempo aperta all’universalità. È essenziale per i cristiani essere uniti intorno a Cristo nella fede e nella carità reciproca.
Si avverte tra le righe del prologo del Vangelo la commozione, la meraviglia e la gioia dell’evangelista e dei primi testimoni. Commozione, meraviglia e gioia che si ritrovano lungo la storia della Chiesa nei santi e nei mistici cristiani. La beata Angela da Foligno, grande mistica francescana, sul letto di morte, rivolta ai figli spirituali che la circondavano, esclamò: “Il Verbo si fece carne”. Poi rimase assorta in contemplazione per oltre un’ora. Quindi, come ritornando a proseguire il colloquio, aggiunse: “Ogni creatura viene meno. Tutta l’intelligenza degli angeli non basta”. Allora gli astanti domandarono: “Non basta per che cosa?”. E lei concluse: “Per comprendere”.
Come si fa a comprendere un Dio che nessuno ha mai visto? Il Figlio Unigenito, “che è nel seno del Padre” (come dire: nel grembo di una madre), lo ha rivelato: Gesù è la perfetta icona di Dio.
Angelo Sceppacerca