Sof 3,14-18; Fil 4,4-7; Lc 3,10-18
Domenica della letizia. Sofonia spinge quanto resta di Israele fedele a dare sfogo ad una felicità intensa e trascinante, perché Dio ha liberato il suo popolo e in mezzo ad esso ha fissato la sua presenza. È un contatto che rende forti contro ogni paura, perché Dio risparmia e cambia il popolo col suo amore. Anche Maria, vera “figlia di Sion”, che rappresenta Israele e l’umanità, deve “rallegrarsi” grazie al figlio che porta in grembo. Perfino Paolo, mentre si trova in prigione, chiama alla festa perché Gesù ci mette a parte di una felicità che nessuna prova e dolore può mai soffocare. Antagonista della gioia non è la sofferenza, ma la solitudine egoistica: non si può essere felici da soli e la gioia è contagiosa, produce unità perché se la condividi si moltiplica, come la solitudine si dimezza. Abbiamo motivo per essere felici. La gioia è il vestito che i cristiani devono indossare in permanenza, una luce in volto. Gioia che viene dall’amore. Come Dio è Amore e Gioia, così è il cristianesimo.
Che dobbiamo fare? Domanda nient’affatto scontata. Ieri come oggi, sulla bocca di tutti, soldati compresi. Il disorientamento è come un’epidemia d’influenza: colpisce tutti. Soprattutto in tempi d’incertezza, sbandamento, crisi (non solo economica, ma anche della politica, della televisione, della cultura). Tempo di crollo era quello di Giovanni il battista, presagio del Salvatore; tempo di crisi anche il nostro, nonostante due millenni di cristianesimo. Intanto perché, ad oggi, il Vangelo deve ancora raggiungere i due terzi dell’umanità che resta in attesa, in Avvento ma anche perché i bisognosi di tunica, di pane, di giustizia, sono moltitudine. Ad ogni incrocio.
Cosa fare?
Giovanni, precursore e testimone di colui che sta per venire e che battezzerà col fuoco dello Spirito, dice innanzitutto che questo è un momento decisivo. L’avvento ci fa consapevoli dell’oggi. Dio ci incontra qui e ora, perché cambiamo vita, ricominciamo a praticare solidarietà e onestà. La giustizia del Vangelo è più che distributiva, perché è scritta nella paternità di Dio e nella fraternità universale.
L’unico tempo che abbiamo è il presente. Il passato può solo tormentare o essere rimpianto e fuga. Il futuro non c’è, può solo essere sperato, atteso e preparato. Il presente è la realtà, l’unica occasione per dare risposta (responsum) alla chiamata di Dio. L’antropologia cristiana è concreta e semplice, colloca l’uomo al punto giusto (qui) e al momento favorevole (ora). In attesa del Natale la cosa giusta è porsi la domanda: che cosa fare?
Prima di entrare nei centri commerciali o nel chiasso dei negozi, se abbiamo capito che la conversione è tornare al Signore in modo molto concreto, ci aiuta la domanda: perché dare all’altro quello che è mio? Perché mi è fratello e sorella. “Non posso ferirti senza farmi del male”, diceva Gandhi. E Chiara Lubich: “A qualcuno manca il lavoro? Manca a me. C’è chi ha la mamma ammalata? L’aiuto come fosse la mia. È l’esperienza dei primi cristiani di Gerusalemme. Come ogni pianta assorbe dal terreno solo l’acqua che le è necessaria, così anche noi cerchiamo di avere solo quello che occorre. E, meglio se ogni tanto ci accorgiamo che manca qualcosa; meglio essere un po’ poveri che un po’ ricchi”.
Angelo Sceppacerca