Gb 7,1-4.6-7; 1Cor 9,16-19.22-23; Mc 1,29-39
L’evangelista Marco apre il suo Vangelo narrando la prima giornata di Gesù a Cafarnao. È come una giornata tipo di Gesù. E ci appare subito molto diversa dalle nostre giornate, segnate spesso dalla monotonia, dalla tristezza, dalla banalità e talora dal nonsenso. Altre volte invece è la durezza e la drammaticità della vita a prendere il sopravvento. Sentiamo vere anche per noi le parole scritte nel libro di Giobbe: “Non ha forse un duro lavoro l’uomo su questa terra e i suoi giorni non sono come quelli di un mercenario?” (Gb 7,1). Se poi il nostro sguardo si allarga verso coloro che sono più direttamente toccati dalla violenza, dall’ingiustizia e dalla guerra (ci pensiamo almeno ogni tanto che ci sono ancora oggi dei paesi e dei popoli in guerra?), il lamento di Giobbe assume un valore ancor più tragico: “A me sono toccati mesi di illusione e notti di dolore mi sono state assegnate. Se mi corico dico: quando mi alzerò? Si allungano le ombre e sono stanco di rigirarmi sino all’alba… Ricordati che un soffio è la mia vita, il mio occhio non rivedrà più il bene” (7,6-7).
Se la vita degli uomini è davvero dura, la giornata di Cafarnao che oggi viene annunciata dal Vangelo, entra dentro le nostre giornate per infondervi forza ed energia, come un lievito che messo nella pasta la fermenta tutta.
Dopo aver scacciato uno spirito immondo da un giovane che si trovava nella sinagoga, Gesù si reca nella casa di Simone e Andrea. Forse per trovare un po’ di tranquillità e di pace. Ma non fa in tempo ad entrare in casa che subito gli prospettano un caso: la suocera di Simone è febbricitante. Subito Gesù la guarisce; non dice nessuna parola, neppure una preghiera, la prende per mano e la fa alzare. La suocera di Simone era a letto con la febbre. Gesù avvicinatosi la prese per mano e la sollevò. Prendere per mano: gesto d’affetto, forza per chi è stanco. Rialzare: Gesù “eleva” la donna malata, la riaffida alla propria andatura eretta, al servire, all’annunciare. È un racconto semplice che però mostra tutta la forza di Gesù contro il male (non è un caso che Marco per indicare la guarigione della donna utilizzi lo stesso verbo usato per la resurrezione di Gesù). La risposta della donna non è solo gesto di cortesia, ma di vero servizio al Signore e ai fratelli.
“E la donna si alzò e si mise a servire”. È questa la lieta notizia: una mano ti solleva, accende la fretta dell’amore, e dice: guarisci altri e guarirà il tuo dolore. La guarigione del corpo ha come scopo la guarigione del cuore. Quando il Signore ha ridonato energie e speranza, devi metterle a servizio di qualcuno. Quando il Signore ti ha preso per mano e sollevato, a tua volta devi prendere per mano qualcuno. Un uomo passa per la strada, vede un bambino che muore di fame, e grida al cielo: “Dio, che cosa fai per lui?”. E una voce risponde: “Io, per lui, ho fatto te…”.
Nella guarigione della suocera di Pietro sono presenti tutte le altre, sia quelle operate da Gesù durante la sua vita terrena, sia quelle dei discepoli di ogni tempo. Anche il vangelo subito allarga la scena alle guarigioni di tanti. Gesù è venuto a lottare contro il male, ogni tipo di male, sia fisico che psichico. Nella prima pagina del Vangelo emerge già anche il tratto del volto della Chiesa, la compassione per i deboli, per i malati, per i poveri, per le folle stanche e sfinite.
Nota l’evangelista Marco: “Fattasi sera, dopo il tramonto del sole portavano a lui tutti i malati e gli indemoniati. E tutta la città era radunata davanti alla porta”. Era tramontato il sole, ma tutta la città si era radunata davanti a quella porta, alla porta della casa ove stava Gesù, il sole che non tramonta. Viene spontaneo pensare ai milioni di persone colpite in mille modi diversi e che vagano cercando una porta a cui bussare. Come non pensare anche alle nostre porte e chiedersi se sono come quella della casa di Cafarnao. Dinanzi alle nostre porte si raduna ancora gente? E quando si aprono, cosa accade a quelle persone? Vengono accolte, guarite, consolate, abbracciate?
E c’è anche un altro interrogativo, ancora più radicale, che ci riguarda personalmente: non siamo forse noi tutti, chi in un modo e chi un altro, dinanzi a quella porta, a Cafarnao, in attesa che si apra?
L’evangelista dice che Gesù guarì molti. E quando tutti erano andati via, guariti e rincuorati, Gesù continuò la sua giornata. Uscì e si recò in un luogo appartato, per pregare. Ecco, di tutto il lungo giorno, il momento culmine e la fonte di tutto ciò che Gesù faceva. La sua prima e fondamentale opera, l’intimità con il Padre, il colloquio continuo per convincersi della missione ricevuta circa le condizioni del mondo, la salvezza di tutti. Ecco perché, ai discepoli che lo raggiungono e gli dicono che tutti lo cercano, risponde: “Andiamocene, perché io predichi anche altrove”.
Angelo Sceppacerca