Lv 13,1-2.45-46; 1Cor 10,31-11,1; Mc 1,40-45
Da sempre e ovunque il lebbroso è l’emarginato per eccellenza. Perfino il libro del Levitico, contenente le leggi di Mosé e le prescrizioni per il popolo d’Israele, al capitolo “lebbrosi” stabiliva che costoro dovessero gridare “Impuro! Impuro!” per impedire a chiunque di accostarsi. La lebbra: una malattia ripugnante perché sfigura il corpo e il viso. Coperti di stracci, anche sul volto, i lebbrosi si annunciavano anche con dei campanacci che portavano addosso, sempre per evitare ogni contatto. Un vero muro doveva frapporsi fra i sani e i colpiti (per molti anche colpevoli!) dalla lebbra. E Gesù? Vien meno alla prescrizione: non solo si accosta, ma addirittura li tocca! La sola presenza di Gesù abbatte ogni muro di separazione.
A quanto ci risulta la storia dice che sono stati i cristiani, sull’esempio di Gesù, ad interessarsi e a preoccuparsi per primi del problema dei lebbrosi. Chi non ricorda, fra i tanti esempi dei testimoni cristiani l’episodio che ebbe per protagonista Francesco d’Assisi? Un giorno Francesco si sente dire dal Signore: “Francesco, se vuoi conoscere la mia volontà, devi disprezzare e odiare tutto quello che mondanamente amavi e bramavi possedere. Quando avrai cominciato a fare così, ti parrà insopportabile e amaro quanto per l’innanzi ti era attraente e dolce; e dalle cose che una volta aborrivi attingerai dolcezza grande e immensa soavità” (Leg. Tre Comp. 11). Gli viene offerta una grazia straordinaria di conversione, fino al totale capovolgimento dei gusti e dei valori. Francesco è disponibile e il Signore lo conduce subito a fare la prova concreta. Gli fa incontrare i lebbrosi, la cosa che più di ogni altra destava in lui orrore e ripugnanza. Francesco vince se stesso e supera la prova. Incontrando un lebbroso in aperta campagna “smontò da cavallo e offrì al lebbroso un denaro, baciandogli la mano”. Nei giorni successivi comincia a visitare l’ospizio dei lebbrosi, ripetendo il gesto dell’elemosina e del bacio. Allora “quel vedere e toccare i lebbrosi, che prima gli riusciva repellente, gli si trasformò veramente in dolcezza” (Leg. Tre Comp. 11). Francesco, come San Paolo, rinnega se stesso e rinasce come “nuova creatura”. Un “fioretto” a dir poco scioccante: Francesco, giovane e pieno di vita, era sinceramente alla ricerca della gioia, della felicità, della gloria. Come tutti, aveva ripugnanza istintiva per i lebbrosi. E per amore di Gesù ne baciò uno. Baciare un lebbroso… Sarà anche per questo che Francesco è l’uomo più rassomigliante a Gesù. Anche le stimmate ne sono un segno eloquente.
Più volte il Vangelo riporta gli incontri di Gesù con i lebbrosi. Ogni volta li conforta e li guarisce. Non solo per pietà, ma perché quella sarà innanzitutto la sua condizione di crocifisso. Lo aveva visto, già da lontano, il profeta Isaia contemplando il servo di Jahvé: “Non ha apparenza né bellezza… disprezzato e reietto dagli uomini… come uno davanti al quale ci si copre la faccia… e noi lo giudicavamo castigato, percosso da Dio e umiliato”. Ecco la chiave di comprensione, anche del miracolo della guarigione del lebbroso: la croce e la resurrezione di Gesù.
C’è un altro paradosso nel Vangelo di oggi: Gesù che impone il silenzio al lebbroso (“guarda di non dir niente a nessuno!”). Perché tacere un miracolo? Non serve proprio quello a diffondere la fede? Evidentemente, secondo la logica di Gesù, no. Il miracolo è certamente un mezzo utile, seppur straordinario, ma non indispensabile all’annuncio della parola di Dio. Non per nulla ancor più grande, nel Vangelo, è il paradosso della salvezza che viene dalla croce. Il gesto di Gesù è in vista di quella eloquenza al contrario: dalla sua morte noi siamo guariti. Anche per un tempo come il nostro ma quale epoca è stata diversa? così bramoso di segni straordinari, di miracoli strabilianti e di interventi divini che sospendano tutte le leggi della natura, valgono le parole di Agostino, il vescovo di Ippona che così istruiva il suo popolo: “Noi, che in così gran numero abbiamo creduto, quali miracoli abbiamo visto? Abbiamo udito il vangelo, abbiamo aderito al vangelo e per mezzo del vangelo abbiamo creduto in Cristo: non abbiamo visto alcun prodigio, non pretendiamo alcun prodigio”.
Vinto il prurito del sensazionale, resta ancora tuttavia la sfida di chinarsi e abbracciare ogni volto ripugnante, ogni lebbra che sfigura il volto e la dignità degli uomini e delle donne del nostro tempo. Cambiano le circostanze e le condizioni. Ma il Vangelo si diffonde sempre allo stesso modo: se c’è qualcuno disposto a salire su una croce. Solo allora il nostro avvicinarci e “toccare” compirà il miracolo della guarigione. A guarire però, prima ancora che il male dell’altro, saranno i nostri occhi, finalmente capaci di riconoscere, in ogni altro, il proprio fratello.
Angelo Sceppacerca