Domenica 5 ottobre

Is 5,1-7; Fil 4,6-9; Mt 21,33-43

Questo brano che Gesù definisce una “parabola”, in realtà è piuttosto un’allegoria nella quale a ciascun elemento del racconto corrisponde un soggetto reale. Gesù, utilizzando l’immagine ormai consueta della vigna, rilegge (da vero profeta e con pienezza di sapienza) tutto il mistero della salvezza: la storia di Dio creatore che affida all’uomo il creato, la rivelazione, la Legge, l’Alleanza. Dio manda nel tempo, più volte, i suoi profeti e amici a raccogliere il frutto di questa abbondanza, come segno di riconoscenza e di dipendenza da Lui, Signore di tutte le cose, ma i figli di Israele da braccianti si fanno padroni a loro volta, rivendicano per sé i frutti, i raccolti, la stessa eredità. Essi rispondono con la violenza e la rivolta alle legittime richieste del padrone della vigna. C’è, in questo atteggiamento, l’eco e il ripetersi monotono del peccato di Adamo: l’autosufficienza, una tentazione per l’uomo di tutti i tempi.

Il “padrone” di cui parla Gesù in realtà è il “padrone di casa”, il “padre di famiglia” che porta su di sé anche la responsabilità di provvedere al sostentamento dei suoi. La vigna è il simbolo della fecondità, della stabilità e della benedizione di Dio sul suo popolo. Un simbolo così ricco di significato che compare ben 91 volte nell’Antico Testamento. Ma più spesso la vigna è il simbolo di Israele, il popolo amato e prediletto da Dio. Lo si capisce dall’affetto di cui Dio ha circondato questa vigna che è il suo popolo. È a questa figura che si riferisce il Vangelo di oggi.
L’immagine della vigna è forte di per sé, ma ancor più lo è se compresa dentro il mistero pasquale. Gesù, infatti, riprende l’immagine della vigna/vite e l’applica a se stesso, svelando il mistero della fecondità della vigna che può dar frutto solo se i tralci, potati, rimangono in stretta relazione con la vite, da cui ricevono la linfa vitale.

Tornando alla parabola, il padrone, quando giunge il tempo favorevole, il tempo dei frutti (in senso proprio il tempo ultimo è il tempo del Figlio!), manda i suoi servi (i suoi apostoli, i primi missionari) per raccogliere i frutti, che dovrebbero esserci! Ma, come è successo a Zaccaria e a tanti altri profeti, i servi subiscono ogni tipo di umiliazione, violenza e persino l’uccisione. Stessa sorte tocca al Figlio, anzi è lui il vero obiettivo della strategia omicida dei vignaioli.
Contro la speranza del padre: “Avranno rispetto di mio figlio!” i vignaioli decidono di compiere il gesto definitivo: uccidere l’erede. Siamo alle radici del contrasto tra l’amore del Padre e il nostro istinto omicida. Questo è il dramma della storia ma anche l’evento della salvezza.
La vigna, alla fine, viene affidata dal padrone ad un “popolo”, non più ad un manipolo di braccianti. Ad un nuovo popolo, alla Chiesa.

Esame di coscienza. Ci rendiamo conto di appartenere a questo popolo nel quale siamo tutti ad un tempo figli, servi, vignaioli, eredi? Siamo consapevoli di lavorare insieme a tanti altri alla edificazione del Regno, o piuttosto ci crescono dentro diffidenze, pregiudizi, chiusure nei confronti dei fratelli, di altri movimenti ecclesiali o di altre confessioni cristiane? Fin dove si spinge la nostra coscienza di essere un popolo solo? La nostra “cattolicità” contiene tutti gli uomini di buona volontà, di ogni dove e di tutte le razze?
Siamo ad ottobre, mese missionario. Anche il Vangelo chiede qualcosa in più. L’intelligenza spirituale della parabola dobbiamo concentrarla su queste idee: il Regno di Dio, il popolo che lo avrà in dono, i frutti da produrre. Agostino, il vescovo di una chiesa che o era missionaria o scompariva, diceva in una omelia: “Venga il tuo regno. Lo chiediamo o non lo chiediamo, verrà ugualmente. Dato che il regno di Dio non ha principio, non avrà nemmeno mai fine. Ma affinché sappiate che facciamo questa preghiera per noi e non per Dio, noi saremo il suo regno se credendo in lui faremo progressi con la sua grazia. Tutti i fedeli, rendenti con il sangue dell’unigenito suo Figlio, saranno il suo regno”.
In fondo, essere missionari è proprio questo: portar frutti di vita nuova, crescere e allargare i confini del popolo nuovo nato sotto le braccia del crocifisso. Gesù è l’erede che, “fuori” da Gerusalemme, viene messo a morte. Eppure una nuova comunità di discepoli nasce dalla Pasqua del Signore.

Angelo Sceppacerca