Domenica 12 ottobre

Is 25,6-10; Fil 4,12-14.19-20; Mt 22,1-14

Le parabole di Gesù non sono una finestra sul passato, ma uno specchio del presente che riflette il volto di chi legge. Sono raccontate al lettore perché sappia che parlano di lui. Così questa che paragona il Regno di Dio al banchetto per le nozze del Figlio. Ci sono tre inviti: uno prima della festa (è la storia di Israele fino ai tempi di Gesù); un secondo invito che è quello degli apostoli dopo la morte di Gesù e nel quale si ripete il rifiuto di una parte del popolo ebraico; questo secondo rifiuto diventa occasione di salvezza per tutti gli altri; infine, un terzo invito rivolto a tutti finché la sala sia piena: è il tempo della Chiesa nella quale, però, ci sono buoni e cattivi. Più precisamente: noi siamo come l’invitato senza la veste nuziale, bisognosi di conversione. Da qui l’invito a incontrare il Signore che è venuto per salvare i peccatori. In fondo, i veri buoni invitati sono quelli che sanno di essere perdonati e vivono di perdono.

Rispetto alla parabola precedente, della vigna e dei vignaioli omicidi, qui l’ambientazione è diversa, uno sposalizio e un banchetto festoso. Anche qui, però, c’è il compimento di un dramma. Alla violenza degli invitati che rifiutano di partecipare al banchetto preparato per loro risponde l’ira del re: l’invio degli eserciti, la distruzione degli omicidi e l’incendio della città. Due sono le condizioni per partecipare al banchetto: accettare l’invito ad entrare nella sala, anche se si è cattivi; portare l’abito nuziale.
L’accostamento della prima lettura della messa di oggi, il racconto del naufragio di S. Paolo, suggerisce un parallelo tra la sala del banchetto e la nave che va in avaria: fuori dalla sala c’è tenebra, pianto e stridore di denti e fuori dalla nave infuria la tempesta. S. Paolo ha ricevuto da un angelo la notizia che i suoi compagni di sventura gli sono stati dati tutti in dono da Dio e che nessuno di loro si perderà.

Torniamo alla parabola del Vangelo. In questa il Regno dei cieli è simile “a un re che fa un banchetto di nozze per suo figlio”. È simile al rapporto fra il re e suo figlio, un rapporto d’amore da cui deriva il desiderio per il padre di fare festa. Il regno dei cieli è simile dunque ad una festa che nasce dal cuore amante di un Padre per suo figlio. Il Regno dei cieli non è una “cosa”, né un “luogo”, è una relazione di amore che apre alla gioia e alla comunione.
Il re ha molti “servi” che “manda” (da cui “apostolo”) a portare il suo invito. Essi sono obbedienti e fedeli, agiscono come fossero la persona stessa del re. Questi servi sono i profeti e gli uomini di Dio che il Padre ha inviato durante la storia di Israele, ma sono anche i missionari di oggi, sono coloro che portano fino agli estremi confini della terra l’invito alla festa che è per tutti gli uomini. Le caratteristiche di questi servi sono un compendio di virtù missionarie: obbedienza, perseveranza, fedeltà nella buona e nella cattiva sorte, fino al dono della vita.
La festa non dipende dagli invitati, la festa è nel cuore e nella volontà del re e la festa comunque si farà; Dio è fedele per sempre.
Tutti sono chiamati alla festa. “E la sala si riempì di commensali”. Solo uno si distingue dagli altri, perché non indossa l’abito nuziale. “Perché molti sono chiamati, ma pochi eletti”: è il vero insegnamento di Gesù. Solo chi risponde all’invito diventa “commensale” del re. La festa è per tutti coloro che vogliono “esserci”. È l’amore del padre/re che ci fa degni, sia che siamo “buoni” sia che siamo “cattivi”. La distinzione la mettiamo noi con la nostra riposta. Prendiamoci del tempo per ripensare alla nostra storia personale.

Angelo Sceppacerca