Is 55,1-3; Rm 8,35.37-39; Mt 14,13-21
Gesù ha curato ogni tipo di malati: i lebbrosi e i paralitici, l’emorroissa e il cieco nato, i muti e gli storpi; ha risuscitato anche i morti, guariti dall’ultima malattia, la morte. Ha sanato dalla disperazione e dalla solitudine, ma ha anche dato da mangiare, allentando i terribili morsi della fame. Una pagina, questo Vangelo, da mettere alla porta di tante mense per i poveri religiose e non che hanno sfamato e dissetato, rivestito e curato, accolto e consolato…
La vicenda di Gesù è legata a quella del suo precursore, Giovanni. È estremamente significativo che il primo gesto pubblico di Gesù sia stato quello di mescolarsi ai peccatori che andavano a farsi battezzare da Giovanni Battista al fiume Giordano. Colui che è incomparabilmente Santo si unisce ai peccatori. Colui che è una sola cosa con Dio si fa uno con chi si è allontanato da Dio. Gesù rivela così il vero volto di Dio. Dio è misericordioso e vuole vincere con il suo amore il rifiuto e la resistenza dell’uomo.
Durante tutta la sua vita pubblica Gesù andrà a cercare i peccatori, si intratterrà volentieri e siederà a mensa con loro, al punto da scandalizzare le persone devote e attirarsi le loro critiche. E morirà sulla croce in mezzo a due ladroni, prendendo su di sé il peso di tutti i peccati dell’umanità.
Nel Vangelo di questa domenica, Gesù ha appena saputo della morte di Giovanni, suo cugino, “il più grande dei nati da donna”, il precursore.
A Giovanni la predicazione è costata la vita. A Erode Antipa, che aveva ripudiato la prima moglie e si era presa la moglie di suo fratello Filippo ancora vivo, Giovanni rivolgeva con coraggio il severo rimprovero: “Non ti è lecito tenere la moglie di tuo fratello” (Mc 6,18). Giovanni difende il matrimonio e la famiglia perché è un profeta sapiente. Erode, re fantoccio, cede all’insipienza di Erodiade e lo fa decapitare.
Alla notizia della morte di Giovanni, probabilmente, Gesù vorrebbe starsene solo col Padre, in intimo colloquio col Solo che spiega la croce, il dare la vita. Gesù vorrebbe piangerlo, ritirarsi nel deserto, come ha fatto spesso. Ma… la folla lo ha preceduto e se la ritrova di fronte. Si commuove. Guarisce i malati. Non basta: il suo amore va oltre, si preoccupa anche del fatto che gli stanno appresso da giorni e hanno bisogno di mangiare. Alla giusta preoccupazione dei discepoli, il Signore risponde col comando: “Date loro voi stessi da mangiare”. E spezza e condivide i cinque pani e i due pesci, fino a sfamarne migliaia. E ne avanza ancora a ceste. Un miracolo strepitoso, nato dalla notizia della morte dell’amico. A noi il dolore fa chiudere le porte. Al violento e sanguinario banchetto di Erode fa seguito un banchetto mite e fecondo; là si uccideva, qui si restituisce alla vita.
Nel Vangelo troviamo gli stessi verbi dell’ultima Cena (prese, pronunziò la benedizione, spezzò, diede). Non si dice che Gesù “moltiplicò” i pani: il miracolo non va verso l’accrescimento, ma esalta lo “spezzare”, il condividere. Gesù e i discepoli sono davanti al grande raccogliersi di una folla che provoca la compassione. Un popolo di malati che Egli guarisce, mentre si porta dentro un grande dolore…
Angelo Sceppacerca