Atti 12,1-11; 2Timoteo 4,6-8.17-18; Matteo 16,13-19
È la festa dei grandi apostoli, Pietro e Paolo. Rosso è il colore liturgico perché rosso è il sangue versato dai martiri. A San Pietro oggi il Papa consegna, ai nuovi arcivescovi, i palli, le piccole stole di lana d’agnello che simboleggiano un particolare legame con il successore di Pietro e che, come bianca e morbida collana, spiccano sulle ampie casule rosse. La tradizione vuole che queste stole riposino tutto un anno, in un’urna collocata sotto l’altare della Confessione e sopra la tomba di Pietro.
Il Vangelo di oggi presenta una scena svoltasi a Cesarea di Filippo, nell’estremo Nord della Terra Santa, in zona pagana, il punto più lontano da Gerusalemme. Cesarea si estendeva ai piedi del monte Ermon. Una delle grotte era dedicata al dio Pan e alle ninfe. Sulla sommità di una rupe, Erode aveva fatto costruire un tempio in onore di Cesare Augusto, mentre Filippo, suo figlio, aveva ingrandito la città dandole il nome di Cesarea. Venerare un idolo e un uomo per gli Ebrei era semplicemente satanico: per questo la grotta era considerata l’ingresso dell’inferno. Gli ebrei attendevano che, da un giorno all’altro, gli abissi infernali scuotessero la rupe e inghiottissero il tempio sacrilego. Qui, in questo luogo, Gesù parla di un’altra pietra sulla quale edificherà un altro tempio, la Chiesa di Dio sulla quale nessuna potenza potrà prevalere. Simone ne riceve le chiavi e ne è pietra visibile. Ma prima occorre la fede. Per questo Gesù chiede ai discepoli, con umiltà, “chi sono io per voi?”. La domanda non mostra una crisi di identità, ma la strada per portare i discepoli dentro il suo mistero. È la risposta a questa domanda, infatti, che costituisce il discepolo. Il problema non è interrogare Dio, ma lasciarci interrogare da Lui che è e resta sempre un mistero; rispondergli, invece, costituisce l’avventura di essere uomini. Il cristianesimo non è una ideologia, neppure una morale, ma il rapporto personale con Gesù.
Siamo alla svolta del Vangelo di Matteo: Pietro e gli altri riconoscono Gesù come il Cristo, il Figlio di Dio. Quella di Pietro è la professione di fede cristiana: Gesù è il centro e il culmine della rivelazione di Dio perché è il Figlio. E Simone diviene “pietra”, un attributo di Dio stesso. La Chiesa si costruisce su questa pietra come la casa dei figli di Dio.
A Pietro Gesù conferisce un primato che lo collocherà, nella prima comunità di Gerusalemme, sempre in prima fila come protagonista, nel prendere la parola a nome di tutti gli apostoli, nel compiere le guarigioni miracolose, nel punire gli indegni, nel confermare le conversioni, nell’ammettere i pagani, nell’affermare la libertà cristiana di fronte alla legge mosaica. Il primato di Pietro si spiega sul modello del primato del Signore che è venuto per servire e dare la vita. Il primato è un servizio nella fede e nell’amore. Così diviene anche principio di comunione e di unità.
Accanto al primato di Pietro e dei suoi successori, c’è il primato della Chiesa di Roma, di cui Pietro è vescovo. Roma “presiede alla carità”, secondo l’espressione di Ignazio di Antiochia, e “tutte le Chiese cristiane sparse in ogni luogo hanno ritenuto e ritengono la grande Chiesa che è qui a Roma come unica base e fondamento, perché, secondo la promessa del Salvatore, le porte degli inferi non hanno mai prevalso su di essa” (San Massimo il Confessore).
Insieme a Pietro, anche Paolo. Insieme sono “le più grandi e le più giuste colonne” (San Clemente) che portano a compimento la loro testimonianza a Roma, dove versano il sangue per Cristo e conferiscono a questa Chiesa una “più alta autorità apostolica”, per cui ogni cristiano e ogni comunità ecclesiale deve confrontarsi e concordare con essa (Sant’Ireneo). I due apostoli simboleggiano anche la Chiesa dei giudei e la Chiesa dei pagani. La Chiesa è una e universale.
Angelo Sceppacerca