Geremia 20,10-13; Romani 5,12-15; Matteo 10,26-33
Tutto quello che Gesù ha detto e ha fatto durante la sua vita terrena, gli apostoli lo predicheranno nel mondo intero. Dopo la Pentecoste e il dono dello Spirito, gli apostoli, spalancate le porte del cenacolo, hanno iniziato ad annunciare il Vangelo dirigendosi verso i quattro punti cardinali del mondo conosciuto e non.
Anche noi dobbiamo superare ogni paura, soprattutto quella della morte, ma anche il timore delle persecuzioni e le difficoltà di ogni giorno. Occorre la fede, ossia la fiducia nel Padre che protegge anche il più insignificante degli uccelli, il passero. Addirittura ha considerazione per ciascun capello del nostro capo. Il martirio non è il destino di tutti i discepoli, ma a tutti i discepoli è chiesta la testimonianza e la coerenza delle parole e delle opere, della vita e del comportamento. Ad ognuno è chiesto di proclamare: io sono di Cristo.
Nel Vangelo di questa domenica Gesù ripete per tre volte l’imperativo: “Non temete”. Eppure una sua parola è sempre definitiva. Qui, però, la ripete più volte. La paura deve proprio attanagliare il discepolo! Non è, infatti, così? Non è forse la paura il freno dell’agire umano? C’è paura in ogni cosa: l’uomo si sente assediato e sfiduciato, fra timori e incertezze, angoscia e disperazione. Su tutte, domina la paura della morte. Al punto che questa è divenuta una vera filosofia di vita.
Il cristiano cerca e vive di un’altra filosofia, quella della sapienza dell’amore di Dio. È questa che vince ogni paura, anche quella della morte. Il discepolo di Cristo si lascia guidare dallo Spirito e la fiducia in lui rovescia la condizione angosciante dell’esistenza: se la paura sbarra il passo, la fiducia fa compiere ciò che si desidera.
Dopo il secolo delle guerre mondiali, con gli orrori delle bombe atomiche e dei campi di sterminio ad Est e ad Ovest, è iniziato il secolo del terrorismo di massa: a paura si aggiunge paura. È in epoche come queste che si avverte più chiara la coscienza del “silenzio di Dio”, della sua apparente assenza, della sua luce che scompare dall’ultima linea del nostro orizzonte. Il Vangelo di questa Domenica è proprio per quest’oggi. E per quest’oggi occorrono, più che mai, discepoli di Gesù uomini e donne che hanno accolto il suo invito: “Non temete”. La Pentecoste non investì, col suo vento gagliardo, solo quelli che erano nel cenacolo, ma diede fuoco al mondo. Con cristiani pieni di fede-fiducia, continua la Pentecoste fino agli ultimi confini della terra. Sarà pur tempo di angoscia, “ma che importa!”, dice Bernanos. E Peguy: “Tutto ciò che accade è adorabile”. Oppure, La Pira: “Dio esiste, Cristo è risorto: dunque tutto va bene”.
Gesù invita i discepoli ad avere sconfinata fiducia in Dio, il Padre che conosce ogni cosa, anche la minima della nostra vita. Egli stesso è il modello, il maestro da seguire. L’esempio dei passeri e dei capelli contati dice tenerezza, ma non ingenuità, perché sullo sfondo c’è già il dramma del calvario e l’agonia sulla croce. La fede-fiducia, però, è più forte perché dice che alla fine non c’è il nulla e la disperazione, ma il Padre che ci ama e che amiamo. È l’amore che scaccia il timore. Se Gesù cita l’esempio dei passeri e dei capelli è perché noi stessi ci giudichiamo di nessun valore e dunque incapaci di avere e dare fiducia. Gesù sposta lo sguardo sul Padre: Lui conta le stelle e le chiama per nome, si prende cura di ciascuno di noi, come padre amorevole verso i suoi figli. Oggi, un solo pensiero vale: Dio, mio padre.
Angelo Sceppacerca