Atti 8,5.8.14-17; 1Pietro 3,15-18; Giovanni 14,15-21
Siamo ancora nel periodo pasquale, ma alla vigilia dell’Ascensione e della Pentecoste. Gli apostoli, dopo alcuni anni di vita in comune con il Signore e, soprattutto, dopo gli avvenimenti di Pasqua, sanno che non possono più vivere senza di Lui. Non sempre hanno capito Gesù, ma hanno sempre sentito di appartenergli. Ora, nella stanza del cenacolo, luogo testimone della grande liturgia che ha preceduto il calvario e dell’incontro con il risorto, sentono parole di addio e avvertono il pericolo di un cambiamento. Parole come “orfani”, “abbandonati”, “non mi vedrete più” turbano gli apostoli. Ancora una volta viene loro chiesto di andare oltre la logica umana e di aver fiducia fede in Gesù. Lui non vuole una separazione, ma una vicinanza più grande. L’intimità resta e il legame non viene interrotto. Il salto è notevolissimo: il dono dello Spirito Santo, lo Spirito di Dio, ci fa più che “vicini”. Ci fa intimi della Trinità, ci porta in Dio stesso. Avvolti dall’amore del Padre che si è pienamente manifestato nel Figlio eterno, viviamo dello stesso spirito di unità e di comunione.
Per arrivare su questa cima, che dà le vertigini della vita spirituale, Gesù stesso indica la condizione: “Se mi amate, osserverete i miei comandamenti”. La frase è composta in modo speculare: l’osservanza dei comandamenti è la prova dell’amore; ma è vero anche: l’amore è la prova dell’osservanza dei comandamenti. Mai più le due cose separate, anche perché il “primo” dei comandamenti resta l’amore, l’amore di Dio e l’amore del prossimo. Anche il nome di Dio è Amore, lo Spirito di Amore.
Il grande teologo russo Sergej Bulgakov, nell’opera Il Paraclito, scrive: “Non avendo lo Spirito, lo bramiamo, languiamo per ottenerlo. Senza di lui, tutta la nostra epoca storica freme per i brividi della morte”. Lo Spirito, il consolatore, cura i brividi di paura con le sue carezze sull’anima. Riferendosi proprio al brano del Vangelo di questa domenica, Bulgakov aggiunge: “L’ultimo discorso terreno di Cristo espone il mistero trinitario e glorifica la santissima Trinità: è la meraviglia delle meraviglie, il vangelo dei vangeli, la parola più dolce di Gesù dolcissimo”.
La Chiesa viene da Dio. Vive e si rigenera ogni giorno, nella fede e nella carità, in virtù dello Spirito Santo che la sostiene e la guida. È la promessa di Gesù: “Il Consolatore, lo Spirito Santo che il Padre manderà nel mio nome, egli v’insegnerà ogni cosa”. Ma anche la sicura dichiarazione degli apostoli a conclusione dell’assemblea di Gerusalemme: “Abbiamo deciso, lo Spirito Santo e noi”. Dobbiamo riconoscere il primato della grazia e viverlo praticamente, con un forte impegno di preghiera personale e comunitaria, ascolto della Parola, partecipazione all’Eucaristia.
Certo, nella Chiesa ci sono sempre, in ogni generazione, ritardi e deviazioni, errori e peccati. E ciò non deve meravigliare, perché la Chiesa è composta di uomini, peccatori e condizionati culturalmente e socialmente. Ma ci sono anche e soprattutto luci, che rendono quasi trasparente la presenza salvifica di Cristo. Di fatto duemila anni di storia offrono la verifica impressionante di come la Chiesa, pur sbagliando e correggendosi in molte altre cose, non abbia mai rinnegato nessuna verità di fede. Ha sviluppato incessantemente la comprensione del messaggio ricevuto per rispondere ai bisogni delle diverse epoche; ma lo ha interpretato con perfetta coerenza e continuità. E questo, se consideriamo le infinite contraddizioni del pensiero umano, i molteplici condizionamenti e le pesanti pressioni culturali, sociali e politiche, non può non sorprendere e impressionare. In ogni generazione, poi, nelle situazioni e nelle forme più diverse, fioriscono numerosi santi, totalmente rivolti a Dio e ai fratelli, gioiosi nella sofferenza, eroici nell’amore. Davvero Pasqua non è finita quel giorno, ma è andata avanti, fino a noi.
Angelo Sceppacerca