V Domenica di Pasqua

Atti 6,1-7; 1Pietro 2,4-9; Giovanni 14,1-12

Gesù sta rivolgendo ai discepoli il suo discorso d’addio, durante l’ultima cena. Alcuni fatti dolorosi stanno per accadere: lui sta per lasciarli, Giuda prepara la sua cattura, si preannuncia il rinnegamento di Pietro. Le ultime parole di addio hanno sempre un carattere particolare. Riassumono tutto il mistero dell’essere. Dobbiamo leggere questa pagina non come un normale discorso, ma dobbiamo immaginare delle lunghe pause. Se noi ascoltiamo veramente, sentiremo parole di consolazione: “Non sia turbato il vostro cuore”; di speranza: “Nella casa del Padre mio vi sono molti posti”; parole di signoria: “Io sono la via, la verità e la vita”; parole di vocazione esigente: “Chi crede in me compirà le opere che io compio”. Per accogliere queste parole occorre la fede: “Abbiate fede in Dio e in me”. Con la fede, le situazioni di turbamento, ma anche quelle di rinnegamento e di tradimento, si capovolgono.

Sappiamo che il Signore Risorto non ha lasciato la sua Chiesa. La sua resurrezione non diminuisce, ma rafforza i suoi rapporti con la comunità dei credenti. Proprio andando al Padre egli intensificherà la sua presenza nella Chiesa e i credenti in Lui potranno compiere le sue opere e anche di più grandi. Tutto questo, nella fede, è possibile perché il Signore è “Io sono”, lo stesso nome di Dio rivelato a Mosé dinanzi al roveto ardente: “Io sono colui che è e che sarà sempre con te”.

Il Vangelo di questa domenica si pone fra due sentimenti opposti: il turbamento di chi avverte un imminente distacco e la fiducia che in cielo ci sono dei posti preparati. In mezzo c’è sempre la fede, la sola che può superare questa apparente contraddizione che, tuttavia, permane come costante nella vita dei singoli credenti e in quella della comunità ecclesiale. In Gesù Cristo trovano risposta la ricerca religiosa dei popoli e le domande più profonde del cuore umano: senso della vita, essere amati, amare, mettere ordine nelle realtà terrene, raggiungere la pienezza della felicità. In Gesù l’uomo, viandante e pellegrino dell’Assoluto, trova il migliore compagno di viaggio, perché è via e meta nello stesso tempo. “Io sono la via, la verità e la vita” (Gv 14,6). La via sicura perché è la verità di Dio e la fonte stessa della vita; è Dio stesso che ci è venuto incontro nella storia, per condurci a vivere con sé nell’eternità. Quale migliore compagno di viaggio potremmo desiderare?

A proposito di Gesù Cristo, nostro Salvatore e compagno di viaggio, c’è un bel testo di San Bernardo di Chiaravalle: “Siamo facili a illuderci, deboli nell’agire, fragili nel resistere. Se vogliamo distinguere il bene dal male, ci sbagliamo; se tentiamo di fare il bene ci stanchiamo; se ci sforziamo di resistere al male ci abbattiamo e veniamo sconfitti. (…) La nostra radicale impotenza ha bisogno del Salvatore. (…) È venuto nel mondo perché abitando tra gli uomini, con gli uomini e per gli uomini potesse illuminare le nostre tenebre, dare sostegno alle nostre fatiche, difenderci dai pericoli e dalle insidie” (San Bernardo, Discorsi).

Angelo Sceppacerca