Domenica di Pentecoste

Atti 2,1-11; 1Corinzi 12,3-7.12-13; Giovanni 20,19-23

Pentecoste: la Pasqua compiuta! Oggi, infatti, lo Spirito Santo rende presente il Risorto nella Chiesa. Si realizza la promessa di Gesù e inizia il tempo della Chiesa: “Come il Padre ha mandato me, io mando voi”. Da questo momento il vento dello Spirito porterà i discepoli sino agli estremi confini della terra e… fino al martirio. Come in una nuova creazione, lo Spirito del Risorto fa capaci i discepoli di qualcosa d’inaudito: perdonare i peccati. Vanno a tutti perché gli uomini e le donne, sotto tutti i cieli, hanno bisogno proprio di questo: misericordia e perdono. Perché il vecchio Pietro oserà spingersi fino a Roma? Perché Paolo rischierà ogni cosa spostandosi di paese in paese? E gli altri apostoli fino ai confini allora conosciuti? Perché lo Spirito aveva acceso in loro un amore più forte d’ogni legame e della loro stessa vita. Un amore unico per Cristo e per tutti, perché in Cristo ci apparteniamo gli uni agli altri e si supera ogni estraneità. Il regno del Padre che si annuncia è quello dell’amore misericordioso e i sacramenti della Chiesa offrono il perdono e rinnovano tutti i gesti della vita cristiana.

Molte sono le manifestazioni dello Spirito: un soffio potente, una presenza nuova, una fiamma che brucia e infonde coraggio. La tradizione spirituale ha distinto sette doni dello Spirito, nessuno frutto dell’opera umana, perché tutti fondati sulle virtù teologali della fede, della speranza e della carità. I sette doni – sapienza, intelletto, consiglio, fortezza, scienza, pietà e timore di Dio – sono i frutti dell’amore e conferiscono una sorta d’istinto per le cose divine. Rappresentano l’ingresso nella vita mistica, nella vita dell’anima unita a Dio.

La sapienza fa gustare e vedere quanto è buono il Signore. L’intelletto dà il senso delle realtà della fede, ce ne dà una sicurezza amorosa e ce ne fa percepire la bellezza. Il consiglio è l’amore che ci rende attenti a capire come comportarci per essere figli di Dio. La fortezza è la sopportazione e la fermezza calma nelle prove; è la mitezza dell’Agnello immolato e vincitore. La scienza dona l’istintiva capacità di distinguere il bene e il male, percependo la nostra piccolezza e che tutto è nelle mani di Dio. La pietà ci dice fino a che punto Dio è nostro Padre e va amato al di sopra di tutto. Il timore di Dio è la percezione della nostra piccolezza dinanzi alla sua maestà e ci rende docili spingendoci nelle sue braccia: è lo spirito d’infanzia di santa Teresa di Gesù Bambino.
Ma il frutto dello Spirito è anche amore, gioia, pace, pazienza, benevolenza, bontà, fedeltà, mitezza, dominio di sé. Il frutto dello Spirito ha la pienezza saporita e feconda di una vita che ha raggiunto la propria maturità dinanzi a Dio e agli uomini.

Il tempo di Pasqua è lungo, dice la liturgia, fino a Pentecoste. La vita e la storia ci dicono che il tempo di Pasqua dura finché c’è ancora chi vive nel timore, nella fame, nella violenza, nella guerra. Insomma, nella paura della morte. Per vincerla, ci vuole lo Spirito Santo, la forza di Dio, la sola capace di toccare e cambiare le menti e il cuore degli uomini.
Così pregava lo Spirito il vescovo Tonino Bello: “Spirito Santo, che riempivi di luce i profeti e accendevi parole di fuoco sulla loro bocca, torna a parlarci con accenti di speranza. Dissipa le nostre paure. Liberaci dalla tristezza di non saperci più indignare per i soprusi consumati sui poveri. E preservaci dalla tragedia di dover riconoscere che le prime officine della violenza e dell’ingiustizia sono ospitate nei nostri cuori. Donaci la gioia di capire che tu non parli solo dai microfoni delle nostre chiese. Che nessuno può menar vanto di possederti. E che, se i semi del Verbo sono diffusi in tutte le aiuole, è anche vero che i tuoi gemiti si esprimono nelle lacrime dei maomettani e nelle verità dei buddisti, negli amori degli indù e nel sorriso degli idolatri, nelle parole buone dei pagani e nella rettitudine degli atei. Se dobbiamo attraversare i mari che ci distanziano dalle altre culture, soffia nelle nostre vele, perché, sciolte le gomene che ci legano agli ormeggi del nostro piccolo mondo antico, un più generoso slancio missionario ci solleciti a partire”.

La carità, che è l’altro nome dello Spirito, cammina come i cerchi concentrici in un lago. Gli spazi preferiti dalla carità sono le frontiere: quella del cuore dell’uomo e quella degli estremi confini della terra. La carità si decide, infatti, nel segreto del cuore, ma raggiunge tutti gli uomini e i popoli della terra. Chiede di aprire la vita a popoli e culture lontane, ma inizia a fiorire quando apriamo la porta della nostra casa a tutti quelli che si affacciano sempre nuovi alla nostra vita.

Angelo Sceppacerca