Ezechiele 37,12-14; Romani 8,8-11; Giovanni 11,1-45
Le lacrime di Dio. L’episodio della morte e resurrezione di Lazzaro, il fratello di Marta e Maria, amici carissimi di Gesù, si commenta da sé. Un cadavere, già in fase di decomposizione, torna in vita per la forza dell’appello del Figlio di Dio che lo chiama a venir fuori dalla tomba. Che la morte sia il caso serio della vita, lo testimonia anche un altro particolare del racconto evangelico: Gesù si commuove, si turba profondamente e scoppia a piangere. Anche se questa resurrezione è “premeditata”, tuttavia Gesù, dinanzi alla tomba, “scoppiò in pianto”. Gesù, pur consapevole di poter vincere la morte, piange l’amico.
Morte e vita sono indisponibili alla manipolazione. Noi, invece? Crediamo di aver messo le mani sul mistero della vita perché è stata scoperta la catena del dna, perché c’è chi sa clonare gli animali e “fare” un figlio per una coppia d’anziani o per donne sterili. Dinanzi alla possibilità di interrompere una vita nascente o di dare una “dolce morte” ad una vita in difficoltà c’è il tragico equivoco di pensare che la vita e la morte siano disponibili al nostro laboratorio di piccoli chimici. Eppure, quando la morte ci sorprende improvvisa o ineluttabile, sprofondandoci in una tristezza inconsolabile, comprendiamo come essa, insieme al mistero della vita, sia il caso serio e ultimo.
La fine dell’uomo e il fine della vita. Pochi mesi prima di venire giustiziato nei campi di sterminio nazisti, Dietrich Bonhoeffer scriveva: “Il nostro sguardo si fissa più facilmente sul morire che sulla morte. Siamo preoccupati di sapere come si giunge sul punto di morire, piuttosto che sapere come vincere la morte. Socrate ha superato il morire, Cristo ha vinto la morte come ultimo nemico. Superare il morire fa parte delle possibilità umane, vincere la morte significa la risurrezione. È un evento nuovo, purificatore del mondo attuale, non può provenire da un’arte di morire, ma dalla risurrezione di Cristo”.
Molta letteratura oggi mostra un risveglio dell’interesse per la fine dell’uomo, quasi nessuna riflessione invece per il fine della vita umana. Si parla della morte, non della vita eterna. La domanda che Gesù pone a Marta, la sorella di Lazzaro, è la stessa che egli pone a ciascuno di noi: “Io sono la resurrezione e la vita. Credi tu questo?”. Marta dà una risposta che, a prima vista, sembra fuori posto. Invece di dire se ha capito o no ciò che Gesù le ha detto, risponde che crede in lui e basta. Per credere le basta che l’abbia detto lui. È la fede in Gesù che ci salva, perché è lui che è risorto. La nostra vita è distesa tra il già delle lacrime e il non ancora della consolazione e della speranza. In mezzo sta la fede nella resurrezione di Cristo.
Vieni fuori! Noi no, non siamo risorti, non viviamo da risorti. La nostra assomiglia piuttosto alla condizione di Lazzaro nella tomba (già manda cattivo odore) perché siamo abitati dalla ricerca di noi stessi e conosciamo soprattutto le parole della maldicenza e della menzogna. Non sappiamo fino a quando i bambini del mondo s’imbatteranno nelle mine, né chi ricostituirà le famiglie spezzate dalla guerra e dalla violenza o ridarà calore ai morti di fame e di freddo. E chi libererà le donne, quante ancora bambine!, dell’est e del sud, schiave nelle strade delle nostre città? Oggi Gesù dice anche a noi: “Vieni fuori!”. Pasqua è vicina. Riconosciamo che ci manca l’aria. Dopo il battesimo c’è un altro sacramento capace di farci passare dalla morte alla vita, quello della confessione.
La vita-per-la-morte e la morte-per-la-vita. L’uomo è il solo essere cosciente di morire, che sa di essere-per-la-morte. Aver fede in Gesù vuol dire credere che Lui ci salva “nella” morte; non elimina il limite che è nella nostra natura, ma ci dona la possibilità di scoprire che quel limite non ci annulla definitivamente. C’è modo e modo di vivere e di morire. I cristiani sanno che si può vivere l’amore fino a dare la vita e sperimentano una morte che è per-la-vita. Certo, occorre il dono della fede e bisogna chiederlo, implorarlo, anche con le lacrime. Dio, che pure le ha versate, non resisterà alla nostra richiesta.
Angelo Sceppacerca