Natale del Signore

MESSA DELLA NOTTE E DELL’AURORA

Luca 2, 1-14 (notte); Luca 2, 15-20 (aurora)

L’evangelista Luca, come un regista, fa una zoomata: dalla panoramica su “tutta la terra”, restringe l’obiettivo sul Medio Oriente (Siria), poi sulla Palestina (Galilea e Giudea), infine su Betlemme, raccogliendo fra migliaia di volti i tratti di un uomo e di una donna, Giuseppe e Maria, quasi a condensare la Storia universale nella loro piccola storia familiare. S’intuisce il disagio di questi giovani sposi a causa del viaggio e della mancanza di intimità in cui si trovano. La nascita del bambino avviene nella precarietà: c’era tanta di quella gente in quella “stanza” che Maria dovette adagiare il Bimbo nella mangiatoia degli animali.

All’affannoso movimento di folla si contrappone la statica veglia dei pastori, all’editto imperiale fatto risuonare per tutta la terra risponde il canto degli angeli in cielo, alla confusione di lingue presenti a Betlemme fa da contrasto la silenziosa notte della campagna. Siamo lontani forse solo qualche chilometro dalla piccola borgata di Giudea, molte miglia invece dalla grande Roma… ma siamo in un altro mondo, il mondo di quelli che letteralmente “non contano”, che valgono talmente poco da non fare numero. I pastori infatti erano una categoria considerata senza fissa dimora, non godevano – alla pari delle donne e dei bambini – del diritto civile di testimonianza in tribunale, ed erano assimilati ai ladri e ai briganti. Giuseppe e Maria, come i pastori, non hanno posto. Eppure, proprio quei pastori sono scelti come primi testimoni e annunciatori del mistero della salvezza, così come le donne saranno le prime testimoni e missionarie della resurrezione!

I pastori decidono di aderire a ciò che viene loro rivelato, e si lasciano mettere in moto: vanno “senz’indugio” e “riferirono ciò che del bambino era stato detto loro”. I pastori diventano a loro volta “angeli”, cioè annunciatori del mistero, rivelatori e missionari!
I pastori “furono presi da grande spavento”, perché l’uomo davanti a Dio e alle cose di Dio sperimenta tutta la sua piccolezza e fragilità. La “buona notizia”, il Vangelo, è proprio l’annuncio che da questa nostra condizione di paura noi siamo salvati: “Non temete” è la parola della consolazione perché Dio si è fatto vicino.

La grande gioia annunciata ai pastori “è per tutto il popolo”. I pastori sono dunque i primi predicatori. La gioia annunciata è “grande”, proporzionale alla paura che l’ha preceduta. L’oggi dei pastori è in realtà anche il nostro “adesso”. Noi non attendiamo un’altra alba, perché la vita ci è stata data per accorgerci della salvezza in questo nuovo giorno.
“Questo per voi il segno: troverete un bambino avvolto in fasce che giace in una mangiatoia”. Dio dà dei “segni” all’uomo: così, ad esempio, il segno di Caino, il segno del sangue sulle case ebree, l’arcobaleno, la circoncisione… I segni sono la prova della presenza salvifica di Dio in mezzo al suo popolo. Gesù stesso è il segno per eccellenza, ma in questo caso il segno non è straordinario, miracoloso, ma del tutto familiare ai pastori (la mangiatoia), come a voler sottolineare che il Messia è proprio il loro re, un re-pastore. Un segno che non è un segno, e che diviene segno solo per coloro che hanno creduto alle parole dell’angelo, per chi ha fede. È lo stesso principio delle parabole: comprende chi crede. Un segno debole.

Il Bambino è il punto di incontro fra la terra e il cielo, al solo nominarlo il cielo si apre sulla terra e ai pastori è partecipata la liturgia degli spiriti celesti. Nell’Incarnazione del Verbo si ha il capolavoro della misericordia di Dio. La pace sulla terra è la gloria di Dio riflessa sugli uomini. È dono di Dio ed è pienezza di ogni bene. Per questo gli uomini sono coloro “che egli ama”.
“Maria da parte sua serbava tutte queste cose meditandole nel suo cuore”. L’atteggiamento di Maria, icona dell’accoglienza, ci richiama la parabola di Gesù sul seme gettato nel campo: è Maria la vera terra fertile che ospita e conserva la Parola. Guardando a Maria i pastori imparano a porsi davanti al mistero: stupore, lode, attenzione, custodia. Anche loro, come Maria, dopo l’annuncio dell’angelo cantano il “Magnificat”.

MESSA DEL GIORNO

Giovanni 1, 1-18 (giorno)

Giovanni, l’Apostolo prediletto, identificato nella iconografia sacra dalla figura dell’aquila, è l’evangelista delle altezze, delle visioni vertiginose. Il prologo del suo Vangelo, che ascoltiamo nella Messa di oggi, ne è un esempio straordinario.
Il Prologo contiene – ripetute più volte, perché s’imprimano nella memoria del cristiano – le grandi verità della fede: la preesistenza divina del Verbo, del Figlio di Dio eterno insieme al Padre; l’incarnazione del Verbo e l’adozione a figli di Dio di coloro che credono in lui. Gesù è la grande luce che ha rischiarato le tenebre che avvolgevano il mondo. Tenebre di egoismo, di violenza, di morte, di peccato. Eppure il mondo non l’ha riconosciuto. Solo alcuni hanno accettato la sua luce e l’hanno riconosciuto: questi sono chiamati figli di Dio. Come in un quadro a forti contrasti di luce e ombra, fin dal Prologo, Giovanni pone Gesù come pietra di inciampo, come Colui dinanzi al quale bisogna operare le scelte fondamentali della vita.

Non si può rimanere indifferenti, non schierati. Giovanni, fra la luce di Dio e le tenebre del mondo, pone la carne di Gesù, il Figlio di Dio fatto uomo come noi, carne della nostra carne (“nostrae carnis Deus caro factus esset”, scriveva Ilario di Poitiers). Se Dio ha assunto la nostra carne, vuol dire che ogni nostra esperienza è stata vissuta, con-divisa da Lui. Ogni povertà, debolezza, solitudine, fame, malattia. Ma anche ogni nostra gioia, consolazione, comunione, salute.

Dinanzi al Prologo di Giovanni possiamo sentirci come ai piedi di un massiccio altissimo, o sul bordo di un abisso oceanico. Ma Giovanni rasserena il nostro stupore e timore perché ci mostra che il monte è sceso fino a noi e che l’abisso è stato colmato, perché l’indicibile si è fatto Parola, lo Spirito Carne, Dio si è fatto uomo. Solo così per noi, uomini di carne e ossa, si è aperta la possibilità di una vita salvata, redenta, non più disperata, ma piena di senso.

Angelo Sceppacerca