Isaia 61,1-2.10-11; 1Tessalonicesi 5,16-24; Giovanni 1,6-8.19-28
“Sono solo una voce, un servo neppure degno di sciogliere i calzari…”. Eppure lo stesso Gesù non esitò ad indicare Giovanni come “il più grande dei nati di donna”, come dire: l’uomo più grande della storia! Tutta l’iconografia cristiana, specie quella orientale, ne è splendida prova: al centro delle iconòstasi è sempre Gesù, e ai suoi lati Maria e Giovanni il Battista.
Come può, dunque, una semplice “voce” essere così grande? Può, perché è la voce che annuncia la Parola, il dito che indica il Verbo fatto carne, il Dio con noi. Questo è il Natale a cui ci stiamo avvicinando e Giovanni è il testimone vero per non correre il rischio di sbagliare strada.
Giovanni non è un profeta come tutti quelli dell’Antico Testamento perché ormai la Parola di Dio parla agli uomini in Gesù di Nazareth. Pur essendo solo “voce”, Giovanni è grande perché è un testimone, una voce che contiene la Parola. Questo è il significato della testimonianza cristiana, nel senso che il cristiano non deve fare altro che questo: avere la Parola dentro la propria vita. Giovanni mai dirà di essere un testimone, perché farà coincidere la sua testimonianza con il diminuire e lo scomparire della sua persona. Giovanni si qualifica attraverso un non-essere (“Egli non era la luce”) che non è di ostacolo, ma al contrario è via preziosa della sua testimonianza.
Sono chiare le parole di Paolo VI quando, pensando soprattutto alla mentalità dell’uomo di oggi, affermava: “Più che di maestri, abbiamo bisogno di testimoni”. Una cultura che sembra aver dichiarato la morte della metafisica, riconoscerà solo quell’annuncio portato con la testimonianza della vita. Questa non è una metodologia nuova, una sorta di “tattica vincente”. È la via tracciata da Gesù stesso. Uno fra i tanti padri della Chiesa che l’ha descritta in modo semplice ed efficace è Agostino: “Il Verbo di Dio, esistente in maniera incomunicabile presso il Padre, per venire a noi cercò la carne come suo mezzo espressivo; si inserì in essa, venne a noi e non abbandonò il Padre”. Il “farsi carne” della Parola di Dio è, al tempo stesso, la più alta forma di comunicazione perché, nello stesso tempo, crea comunione.
Nell’esperienza, la parola e la vita si uniscono e ne nasce la testimonianza, la sola capace di trasmettersi agli altri. Senza la testimonianza non c’è né comunicazione né comunione. Se l’opposto della testimonianza, la menzogna (che è falsa testimonianza), è il reato più grave, l’origine degli altri mali (come insegna il racconto del peccato di origine), la testimonianza al contrario fonda la cultura e la storia.
Nel tempo di Avvento si staglia la figura del Battista, la voce prestata all’attesa di Israele e di tutta l’umanità. Nella voce di Giovanni vi è anche l’eco di ogni grido di uomo che non cessa di sperare. A differenza dei nostri mass media, che troppo spesso giustificano l’esistente e stanno comunque dalla parte del potente di turno, Giovanni da vero profeta svela la falsità e l’ingiustizia e, dando voce ai poveri e agli oppressi, riaccende in loro il desiderio di verità e di salvezza. Come profeta e testimone (martire) autentico, anche Giovanni subì il trattamento riservato a chi si vuol far tacere: la testa tagliata. Ma il suo compito è stato assolto, la Parola è stata udita e l’Agnello è stato indicato.
Il Vangelo dice che Giovanni venne “per rendere testimonianza alla luce”; e resta lui stesso come un faro nella notte perché è il testimone che ri-corda, che ha nel cuore la Parola e la mette in pratica.
Angelo Sceppacerca