Is 40,1-5.9-11; 2Pt 3,8-14; Mc 1,1-8
La II Domenica di Avvento è segnata dall’inizio solenne, chiaro e coinvolgente del Vangelo di Marco.
La prima lettura segna un altro inizio: quello di un popolo deportato che intravede la possibilità del ritorno a Gerusalemme e alla propria terra. Isaia annuncia la liberazione con una parola di coraggio e di speranza: “Consolate, consolate il mio popolo. Parlate al cuore di Gerusalemme e gridatele che è finita la sua schiavitù”. Gli schiavi ebrei di Babilonia sentono una parola che parla al loro cuore e li guarisce dalla colpa e dall’infedeltà. Dio è ancora con il suo popolo. Ma ora bisogna preparare la via del ritorno, del nuovo esodo perché solo così si “rivelerà la gloria del Signore ed ogni uomo la vedrà”.
È tutta qui la bellezza e la fatica della conversione: un nuovo inizio, che diventa cammino quotidiano, fa sì che “il terreno accidentato si trasformi in piano e quello scosceso in pianura”; non si sente la fatica perché c’è il Pastore che guida e al momento opportuno prende in braccio le sue pecore.
Origene commenta: “Osservi ciascuno ciò che era prima di avere la fede: si accorgerà che era un burrone profondo, un burrone in pendio che sprofondava verso gli abissi. Ma quando è venuto il Signore Gesù e ha inviato quale suo vicario lo Spirito Santo, ogni burrone è stato colmato. Se possiedi la pace, la pazienza e la bontà, non soltanto cesserai di essere un burrone, ma comincerai a divenire montagna di Dio”.
E poi c’è il Vangelo, con Giovanni il Battista, il testimone della presenza di Dio tra gli uomini. Giovanni è la “voce” di Dio, che grida e che indica, eppure si sente indegno anche di compiere l’atto di venerazione, che era riservato allo schiavo, di sciogliere i legacci delle calzature.
Giovanni, il più grande e l’ultimo dei profeti. Proprio perché “ultimo” profeta, Giovanni indica il grande cambiamento, la svolta epocale attesa dall’umanità: la presenza del Salvatore. Il battesimo amministrato da Giovanni nelle acque del Giordano è anch’esso simbolo di svolta, di conversione.
Se la figura, l’opera e il messaggio di Giovanni il battezzatore sono ancora sotto il segno dell’attesa, questa tuttavia non è più l’attesa di un futuro remoto, ma è un’attenzione al presente, perché il Signore è qui, si lascia trovare, vedere, è vicino, in mezzo a noi.
Il Battista è il modello di chi si accosta al Vangelo e sa che dietro la realtà presente (quell’uomo, in fila con i peccatori) se ne cela un’altra, più forte e più grande. Indicando Gesù e vedendo scendere su di lui lo Spirito di Dio, Giovanni vuole che ci avviamo sul suo cammino, alla sua sequela, divenendo suoi discepoli. Solo su chi segue Gesù, scende lo Spirito che vince la morte e ridona la vita.
Annuncio di liberazione, attesa del Signore, bisogno di conversione e scelta di fede. Ci aiuti questa preghiera di Italo Alighiero Chiusano:
Voglio essere franco.
Non mi interessa un Dio “qualunque”,
onnipotente e assoluto, fin che vuoi.
Meno ancora un Gesù
che sia soltanto un profeta
(non importa se maggiore o minore)
finito malamente.
Il mio motto è: “Aut Christus aut nihil”.
È quello il cuore, il Dio Figlio di Dio,
quello è il centro, il sole che m’illumina,
la linfa, il sangue che scorre a dar vita,
senso, sapore, allegria
sì, miseriaccia, allegria!
a un cosmo che senza di lui
sarebbe un incomprensibile ammasso
di meraviglie sospese nel nulla.
Angelo Sceppacerca