III Domenica di Quaresima

Es 17,3-7; Rm 5,1-2.5-8; Gv 4,5-42

Gesù si sta dirigendo decisamente verso Gerusalemme per celebrarvi la Pasqua. Poco prima dell’incontro con la donna samaritana, Gesù aveva avuto un altro colloquio teologico con Nicodemo, un capo dei Giudei che era venuto a trovarlo in casa di notte. Fu un colloquio sulla verità, sul Messia e sulla necessità della fede in Gesù – il Figlio di Dio – per la salvezza. Ora, sotto il sole cocente del mezzogiorno, mentre riposa vicino a un pozzo d’acqua, Gesù incontra una donna che vi si era recata per attingerne. La donna è di un’altra religione e chiede a Gesù – riconosciuto come Giudeo – quale sia il vero luogo per adorare Dio, se il monte Garizim o Gerusalemme. Gesù le risponde che non c’è un luogo per adorare Dio, perché Dio non può essere chiuso entro i confini di un territorio.

L’adorazione, la fede in Dio, è questione di spirito e di verità e l’uomo deve entrare in questa logica, deve diventare simile a Dio, rinunciando alla pretesa di rendere Dio simile a se stesso. E alla samaritana, che dichiara di essere in attesa del profeta che indicherà quale sia il nuovo tempio dove adorare Dio “in spirito e verità”, Gesù risponde: “Sono io, che ti parlo”. Il tempio nuovo, la chiesa dove Dio abita, non è un luogo, ma è Gesù di Nazareth, nella cui persona abita “la pienezza della divinità”.

Gli ebrei non “tolleravano” i samaritani, considerandoli pagani, atei. Ed è proprio una samaritana che pone la questione di “dove” si debba adorare Dio. Gesù risponde che è questione di modo: è il come bisogna adorare, nello spirito e nella verità, cioè con tutto il cuore. Il tempio samaritano di Garizim era rivale a quello di Gerusalemme: entrambi saranno distrutti, di essi non resterà pietra su pietra. Gesù mostrerà la sua persona come il vero tempio di Dio. Su questo si abbatteranno le forze dell’odio, ma lui risorgerà il terzo giorno.

La pretesa assolutezza e universalità della fede cristiana in Gesù, Figlio di Dio e unico Salvatore del mondo, oggi si scontra con una diffusa mentalità relativista secondo la quale tutte le religioni sarebbero ugualmente inadeguate per cui la religione è ridotta a esperienza privata, soggettiva, emotiva, lasciando libero il campo al cosiddetto “supermarket delle religioni”. La proposta di verità, in campo etico e religioso, viene qualificata come presunzione, addirittura fondamentalismo, atteggiamento intollerante. L’impegno missionario è visto come imperialismo spirituale e culturale. Il vero scandalo, per questa mentalità relativista, è l’assolutezza di Gesù Cristo quale piena rivelazione di Dio e unico salvatore di tutti gli uomini.

Tutto il Vangelo – e quello di oggi ne è una pagina esemplare – ci dice che Dio ci è venuto incontro personalmente, con il nome e il volto di un uomo, Gesù di Nazareth. Dio si è fatto uomo e l’uomo è innalzato fino a Dio: nessun’altra religione ha una notizia simile, nessuna offre una speranza più audace. Da qui nasce la meraviglia, la gratitudine, la speranza, la spinta missionaria: quello che abbiamo veduto e udito, noi lo annunciamo anche a voi. Esattamente quello che fece la donna samaritana con i suoi paesani.

Il dialogo tra le religioni va benissimo, anzi è necessario. Ma non possiamo rinunciare a proporre la nostra fede. Per i cristiani questo non è un vanto, ma una responsabilità che spinge a pregare, operare, sacrificarsi, amare tutti, cristiani e non cristiani. Chi ha incontrato Gesù – di notte, come Nicodemo, o nella calura del mezzogiorno, come la samaritana – diventa a sua volta segno e presenza dell’amore di Dio che attrae a Cristo o con la conversione o almeno con l’apertura, l’orientamento, la vicinanza.

Non si dialoga – ecumenicamente e con le altre religioni – svuotando il cattolicesimo e il cristianesimo, separando la fede dalla ragione e dalla verità. Si dialoga, invece, “facendo la verità nella carità”: con l’attenzione, l’ascolto, l’interesse, il rispetto, il servizio, il dono, l’accoglienza dell’altro. All’amore fraterno si unisce anche la spontanea, gioiosa e rispettosa proposta della propria fede. Il vero dialogo non nasconde la verità ed è più della semplice tolleranza. Il dialogo – come quello di Gesù con la samaritana – fa crescere nella verità e rende liberi.

Angelo Sceppacerca