II Domenica di Quaresima

Gen 12,1-4; 2Tm 1,8b-10; Mt 17,1-9

In tutto il Vangelo la voce del Padre si ode solo due volte: dopo il Battesimo di Gesù nelle acque del Giordano e nella trasfigurazione sul Tabor. In entrambi i casi il Padre proclama che Gesù è il Figlio prediletto e noi dobbiamo ascoltarlo. Se il Padre ha detto solo questo, significa che in questo c’è tutto perché il Figlio è la Parola che svela pienamente chi è Dio e se noi l’ascoltiamo diveniamo, come Lui, figli di Dio. Anche la trasfigurazione mostra in anticipo ciò che anche noi saremo grazie alla passione, morte e resurrezione di Gesù.

Risuscitandolo dai morti, Dio ha dato inizio a un immenso avvenimento che è ancora in corso e ci coinvolge, come se avesse acceso una miccia per dare avvio a un incendio cosmico, incendio di trasfigurazione, non di distruzione. Il Risorto, comunicando il suo Spirito, agisce per la verità e il bene, come potenza di conversione, di guarigione, di riconciliazione, di comunione e di vita eterna. Nella risurrezione giunge a compimento l’incarnazione del Figlio di Dio.

La luce abbagliante della trasfigurazione – vedere il volto di Dio! – stordisce i discepoli che cadono faccia a terra, atterriti. Gesù li tranquillizza, dà ogni spiegazione, fa la catechesi e, scendendo a valle, ammonisce di non parlarne finché non saranno esperti e consapevoli che alla resurrezione si giunge dopo la crocifissione e che Gesù crocifisso è il Risorto dai morti. La morte fa da sfondo; senza di essa non si può parlare seriamente di Gesù. Ma oggi prevale la gloria, la luce. Oggi, festa della trasfigurazione, prevale la visione, il bagliore. Uno sfolgorio di luce. La festa di oggi, nella chiesa orientale è grandissima, almeno quanto la Pasqua, perché indica il destino pasquale, trasfigurato, dei cristiani. Oggi, festa di luce, si ripercorre anche la festa della croce: via lucis est via crucis. Entrambe sul monte: Tabor e Calvario.

La trasfigurazione è luce abbagliante. Lo fu per i tre apostoli presenti sul monte Tabor, lo è ancor più per noi abitanti la città secolarizzata. Non si tratta di sapere cose di teologia, per poter ascoltare – come il Padre dice dalla nube – il Figlio di Dio. Lo diceva molto bene Bernanos: “Nessuno di noi saprà mai abbastanza di teologia per diventare appena canonico; ma sappiamo abbastanza per diventare dei santi”. Ecco, la trasfigurazione ha innanzitutto a che fare con la santità perché è l’anticipazione della resurrezione, la sua “figura”. E la resurrezione è lo stile di vita del cristiano incamminato sulla via della santità: pur in mezzo a difficoltà e smarrimenti, egli vive come “risorto”, trasfigurato.

Come per i tre discepoli che con Gesù discendono dal monte, anche per noi sono lecite le domande su cosa significhi “risorgere dai morti”. Questo tempo di domande, povero di risposte vere, ci porti – per dono – la soluzione di ogni domanda: il segreto della gioia e della vita passa attraverso la croce. È il “mistero” del Figlio di Dio; è il “mistero” di tutti gli uomini. La trasfigurazione abbaglia perché mostra il rovescio – luminoso – del mistero pasquale di morte in croce. Se il primo abbaglia, il secondo stordisce. Entrambi misteriosi e profondi.

Il Vangelo si dispiega, immagine dopo immagine, ma al centro – sempre – la persona e il volto di Gesù. Crederlo Figlio di Dio nel bagliore della Gloria e nell’oscurità di un amore crocifisso. C’è un ambito dove queste grandi verità si colgono con la semplicità e l’immediatezza dell’intuizione: l’arte cristiana. Sulla scia dell’incarnazione del Figlio di Dio in Gesù di Nazareth, l’arte cristiana vuole essere la visibilità dell’invisibile. Proprio la festa di oggi: incarnazione e trasfigurazione. Nel finito l’infinito. Nel frammento il tutto.

Angelo Sceppacerca