Gen 2,7-9; 3,1-7; Rm 5,12-19; Mt 4,1-11
Sant’Agostino confessava, anche per esperienza personale, che “vincere l’abitudine è una dura battaglia”. Vale certamente anche per noi in un tempo che ha smarrito il concetto di “tentazione” perché scompare il concetto stesso di peccato nell’opinione della nostra gente. Sempre Agostino, commentando le tentazioni del Signore, faceva notare che “Cristo fu tentato dal diavolo nel deserto, ma in Cristo eri tentato tu… Così egli prese da te e fece sua la tentazione, affinché per suo dono tu ne riportassi vittoria. Riconoscilo! Egli avrebbe potuto tener lontano da sé il diavolo; ma, se non si fosse lasciato tentare, non ti avrebbe insegnato a vincere quando tu sei tentato”.
L’uomo, di fronte a sé, ha le cose, le persone, Dio. È sempre con uno di questi tre ambiti che egli confronta la propria vita. E questi sono anche i luoghi della seduzione che può avere solo due esiti: la vittoria o la caduta. Anche le tentazioni di Gesù, raccontate nel Vangelo di oggi, corrispondono alle tre avidità: delle cose, delle persone, di Dio. L’uomo è vinto quando è succube degli idoli dell’avere, del potere e dell’apparire, della ricchezza e dell’arroganza. Tre vie che ci separano dagli altri e mettono in antagonismo i fratelli fra loro. Gesù ha preso un’altra strada, rispetto a quella suggerita dal diavolo, ossia da colui che divide e contrappone.
Ignazio di Loyola, esperto di strategie militari e spirituali, distingueva tra la strategia di Satana e quella di Cristo: “La prima è brama di ricchezze, di onore e di orgoglio, la seconda è desiderio di povertà, umiliazione e umiltà”. Non sempre le tentazioni sono grossolane, ma sempre ovvie, nel senso che corrispondono al pensare umano, mai a quello di Dio. Così la prima. “Dì a queste pietre che diventino pane”: l’assoluto non è il bisogno economico, la ricchezza, l’avere. Il pane non viene dalle pietre, ma dalla condivisione. Così la seconda. “Se sei Dio, gettati giù”: all’esibizione di forza e all’orgoglio Gesù contrappone la signoria di Dio e l’abbandono fiducioso nelle sue mani. Così la terza. “Ti darò tutto se ti prostrerai davanti a me”: il demone del potere e dell’arroganza sono la maschera tragica del vero volto di Dio. Gesù è Re, ma la sua regalità si manifesta sulla croce e lì si mostra anche il vero volto del Padre. Così Bonhoeffer: “La croce è la distanza infinita che Dio ha posto tra se stesso e ogni nostra immagine religiosa di lui”.
Il messaggio delle tentazioni non è consolatorio, ma impegnativo. Alla fine ci viene chiesto di pronunciare un giudizio irrevocabile: “Vattene, Satana!”. In principio di Quaresima ci è chiesto di scegliere Dio. E di respingere l’accusatore, colui che dopo ogni caduta, ci inchioda alla colpa. Alziamogli contro la voce: “Vattene, Satana!”.
Una parola sul rapporto fra i cristiani e la politica. Gesù non ha voluto essere un politico. È chiarissimo che le tentazioni del demonio, specie la terza, erano la proposta di un messianismo politico e Gesù le ha respinte. A Gesù è stato preferito Barabba, proprio perché Barabba rispondeva meglio a un messianismo politico, teocratico, rivoluzionario. Gesù invece annuncia e introduce la presenza regale e salvifica di Dio, il suo amore onnipotente e misericordioso che viene nella storia e del quale possiamo riconoscerne la presenza nella vita di ogni giorno.
Nel deserto, dove avvengono le tentazioni, è facile smarrire la via, perché mancano dei punti di riferimento e il vento sposta la sabbia e cancella ogni traccia; i miraggi, che travisano la verità delle cose, ingannano; nel deserto la vita è assente, perché tutto è avvolto dall’aridità mortale provocata dalla mancanza di acqua. Il deserto può non essere soltanto un luogo, molto spesso rappresenta una condizione di vita, una precisa metafora. Abbagliati dai lustrini a buon mercato, diventiamo incapaci di cogliere la verità di noi stessi e di quanto ci accade intorno. Ma il deserto è anche il luogo privilegiato per incontrare Dio e per ritrovare sé stessi. Questa quaresima sarà tempo di grazia se andremo a scuola della Parola di Dio. E la profezia di Osea sarà nostra: “Ecco, la attirerò a me, la condurrò nel deserto e parlerò al suo cuore”. Il deserto, alla voce di Dio, rifiorisce.
Angelo Sceppacerca