Sof 2,3; 3,12-13; 1Cor 1,26-31; Mt 5,1-12a
Oggi si proclama il “Vangelo delle beatitudini”, forse la pagina più conosciuta della rivelazione cristiana. Tolstoj, nel “discorso della montagna” e nel principio della “non resistenza al male”, trovava riassunto e raccontato tutto il cristianesimo. Alcuni esegeti trovano, nelle beatitudini, ben sette chiavi di lettura per entrare nella loro profondità. Le beatitudini sono un’autobiografia di Gesù (rivelano il suo volto di Figlio di Dio); manifestano chi è Dio (il Padre, uguale al Figlio); mostrano il volto dell’uomo realizzato (a immagine del Figlio); ci salvano dalla menzogna esistenziale, mostrano la fisionomia della comunità dei credenti (i figli che vivono da fratelli); rivelano la verità della vita e il giudizio di Dio su di essa; ci chiamano a vivere secondo la nostra reale identità.
Questa pagina deve essere compresa all’interno di una unità più ampia. Il Vangelo di Matteo, infatti, la fa seguire da dieci miracoli compiuti da Gesù, messi lì come prova che la sua Parola realizza quello che annuncia: ci rende uomini nuovi, ci purifica, ci dà la fede, ci rende capaci di servizio, ci libera dalla paura, dal male, dal peccato, dalla malattia e dalla morte, ci rende capaci, a nostra volta, di annunciare il Vangelo. Le beatitudini, così, sono, al tempo stesso, la ricetta e la medicina per guarire dai nostri mali perché, nella gioiosa scoperta di ciò che siamo (figli nel Figlio), possiamo divenire sempre più fratelli fra di noi in quanto tutti figli dello stesso Padre.
All’inizio davanti a Gesù ci sono le folle, l’umanità. Ad ascoltare da vicino le sue parole, ci sono quelli che vogliono imparare e divenire discepoli. Ecco perché, dopo le prime otto espresse in forma impersonale e universale, la nona beatitudine è rivolta ad un “voi”: è la Chiesa dei discepoli la destinataria della beatitudine perfetta, perché nasce dalla persecuzione. Il giudizio di Dio capovolge il nostro. Per lui conta ciò che noi scartiamo. Per ben nove volte Gesù precisa chi è davvero beato agli occhi di Dio: il povero, l’umile, il disprezzato, il mite, il perseguitato. Non c’è via di mezzo o compromesso: o ha ragione Gesù o il modo comune di pensare del mondo.
Tutte le beatitudini sono divise in due parti. La prima indica i soggetti (poveri, afflitti, miti…); la seconda, la realizzazione della promessa (il possesso del regno, la consolazione, la misericordia…). Ad unire le due parti c’è un “perché”. Il motivo per cui sono beati i poveri, gli afflitti, i miti, non sta nella loro condizione, ma proprio in ciò che ne consegue. Ancora una volta il primato è di Dio, della sua grazia e del suo amore. Lui solo rende beato un povero perché gli dona il Regno; beato un afflitto perché lo consola; beato un mite perché gli fa dono della terra; beato un affamato di giustizia perché lo sazierà di risposta…
Un’ultima annotazione: solo la prima e l’ultima beatitudine hanno il tempo presente (è); le altre, sono al futuro. Come a dire: il Regno è già qui, ma non ancora tutto qui. Il seme che cambia il mondo, la resurrezione di Gesù, è già donato e piantato nella storia, ma non è abolito il cammino che deve fare la pianta nel suo sviluppo. Certo è dice il Salmo 126 che chi semina nel pianto, mieterà con gioia.
C’è chi ha paragonato la pagina delle Beatitudini all’Inno alla gioia. Un inno “composto, suonato, cantato su una collina di Galilea sulla riva del lago. Carta della santità, questo canto di otto strofe. Un solo ritornello: beati! E chi canta? Colui che è la gioia stessa del Padre, la gioia dei poveri” (D.Ange). È Gesù che canta.
Sul muro di una casa di riposo, una mattonella con le beatitudini degli anziani: “Beati quelli che mi guardano con simpatia… beati quelli che stringono le mie mani tremanti… beati quelli che non si stancano di ascoltarmi… beati quelli che comprendono il mio camminare stanco…”. Ma quante sono le beatitudini? Tante quante le note di tutta la musica del mondo.
Angelo Sceppacerca