Is 49,3.5-6; Sal 39; 1Cor 1,1-3; Gv 1, 29-34
Prima che sulle rive del Giordano, Giovanni e Gesù avevano avuto un altro incontro, circa trent’anni prima, quando ognuno era ancora nel grembo della propria madre. Giovanni e Gesù, il profeta e il Messia, entrambi concepiti con la grazia dello Spirito il primo da due genitori anziani e sterili, il secondo da una vergine-madre s’incontrano prima ancora di nascere. Le lodi di Elisabetta e il cantico di Maria sono la risonanza ad alta voce di questo incontro. A due donne è riservato il privilegio d’interpretarlo e testimoniarlo.
Maria canta: l’anima mia dice che grande è il Signore! Adamo, al contrario, fece Dio piccolo, come la sua meschinità. Maria, invece, fa grande Dio perché lo vede come amoroso sposo capace di dare la vita. Lei riconosce Dio come Dio e scopre in sé l’immagine autentica di Lui. Il primo dono di Dio e il primo canto a lui è riconoscerlo grande, grande e “per noi”. Di questa “grandezza” sono state testimoni soprattutto le donne: Maria dice “sì, eccomi!” e in lei s’incarna il Figlio di Dio; Elisabetta, per prima, lo “sente” nel grembo della cugina; la Maddalena è la prima che adora il Risorto e ne riceve l’incarico di farlo sapere agli apostoli.
Veniamo al Vangelo di oggi. È l’eco della festa del Battesimo di Gesù. Giovanni il Battezzatore rende testimonianza e lo addita come Agnello di Dio, “colui che toglie il peccato del mondo”. Siamo all’inizio della vita pubblica di Gesù, ma anche all’inizio del quarto vangelo, subito dopo il “Prologo”. È come se, dopo la vertiginosa introduzione teologica (In principio era il Verbo…), seguisse la traduzione nel linguaggio della storia e della testimonianza di chi ha visto scendere e rimanere su quell’uomo lo Spirito di Dio.
La testimonianza di Giovanni nasce dall’esperienza, dall’aver visto, perciò è valida e inequivocabile. Come indubitabile è la testimonianza che Gesù darà di sé a Nicodemo circa il suo rapporto col Padre. È Gesù, dunque, l’unico testimone delle realtà divine, perché egli solo vede Dio.
Nel Vangelo di oggi il dito di Giovanni indica Gesù, l’agnello eletto, vittima di espiazione dei peccati del mondo e agnello pasquale esaltato sulla croce. Cos’è il peccato del mondo? Sono tutte le colpe dell’umanità e l’incredulità che è alla radice di tutte. È il rifiuto della luce. Per questo il peccato è paragonato alle tenebre. Come Giovanni, anche noi dobbiamo essere testimoni del Cristo. Il Concilio Vaticano II ha ricordato come tutti i cristiani, con l’esempio della loro vita e con la testimonianza della parola, devono manifestare l’uomo nuovo di cui sono stati rivestiti nel battesimo.
In questo Vangelo siamo raggiunti da un’altra consolazione: Gesù perdona le nostre infedeltà e debolezze, guarisce la nostra incredulità, ci riconcilia col Padre, a condizione che noi confessiamo umilmente i peccati e ci avviamo nella luce di verità che è la parola di Gesù. Così anche noi vedremo e “sentiremo” lo Spirito, vero maestro interiore, facendo al contempo l’esperienza descritta nella Gaudium et spes: “Le gioie e le speranze, le tristezze e le angosce degli uomini d’oggi, dei poveri soprattutto e di tutti coloro che soffrono, sono pure le gioie e le speranze, le tristezze e le angosce dei discepoli di Cristo, e nulla vi è di più genuinamente umano che non trovi eco nel loro cuore. La loro comunità, infatti, è composta di uomini, i quali, riuniti insieme nel Cristo, sono guidati dallo Spirito Santo nel loro pellegrinaggio verso il regno del Padre e hanno ricevuto un messaggio di salvezza da proporre a tutti”.
È forte la sensazione che questo pagina del Concilio sia stata scritta quel giorno lì, sulle rive del Giordano. Certamente è lo stesso Spirito ad averla ispirata. Papa Benedetto XVI, riguardo all’esclamazione di Giovanni sul fiume Giordano “ecco l’agnello di Dio scrive nell’Esortazione Apostolica Sacramentum Caritatis: “È significativo che la stessa espressione ricorra, ogni volta che celebriamo la santa Messa, nell’invito del sacerdote ad accostarsi all’altare… Gesù è il vero agnello pasquale che ha offerto spontaneamente se stesso in sacrificio per noi, realizzando così la nuova ed eterna alleanza. L’Eucaristia contiene in sé questa radicale novità, che si ripropone a noi in ogni celebrazione”. Ogni celebrazione eucaristica ci riporta lì, su quelle rive, a quell’incontro.
Per togliere i peccati, il popolo ebreo aveva bisogno di un tempio e di un agnello. Quando ci fu la Pasqua definitiva, celebrata da Gesù, egli non ebbe né tempio, né agnello. In realtà, Egli stesso fu il vero Agnello ed Egli stesso è il tempio vivo, nel quale Dio abita e si fa incontrare.
Angelo Sceppacerca