Battesimo del Signore

Is 40, 1-4.6-7; Sal 28; At 10,34-38; Mt 3, 13-17

Il tempo liturgico di Natale si chiude con la festa del Battesimo del Signore. In realtà, nella vicenda storica di Gesù di Nazareth, il tempo intercorso tra la nascita e il battesimo nelle acque del Giordano, ad opera di Giovanni il Battista, è di circa 30 anni. Di questo lungo periodo poco dicono i Vangeli, poco la tradizione. È col Battesimo che inizia la vita pubblica di Gesù, l’intenso periodo che lo vedrà per le strade di Palestina annunciare, guarire, proclamare, liberare… fino all’evento di pasqua, avvenuto presumibilmente nella notte tra l’8 e il 9 aprile dell’anno 30. Oggi, dunque, celebriamo la festa del Battesimo di Gesù, che segna l’inizio della sua vita pubblica, l’inaugurazione della sua missione salvifica.

È estremamente significativo che il primo gesto di Gesù sia quello di mescolarsi ai peccatori che vanno a farsi battezzare da Giovanni Battista lungo il fiume Giordano. Colui che è incomparabilmente Santo, si unisce ai peccatori. Colui che è una sola cosa con Dio, si mescola con chi è lontano da Dio. E così scopre il vero volto di un Dio che è misericordioso e vince con l’amore il rifiuto e la resistenza dell’uomo.

Il battesimo al Giordano è centrale nella vicenda del Nazareno e va compreso alla luce dello Spirito. Anche il battesimo, come la nascita e la prima manifestazione ai magi venuti da lontano, è nel segno dell’umiliazione, dell’abbassamento; della kenosi come dicono i teologi. Giovanni amministrava un battesimo di penitenza, invitava tutto il popolo a prepararsi alla venuta ormai imminente del Messia, del Salvatore. Sulle rive del Giordano, dinanzi a Giovanni – uomo scarnificato da una impressionante vita da asceta e profeta grande che ripeteva come tuono le parole di verità -, si presentavano file di uomini e donne peccatori e penitenti che, anche ad alta voce, invocavano da Dio il perdono e la salvezza. Gesù si mette in fila con loro e Giovanni sbalordisce nel vederselo davanti: “Io ho bisogno di essere battezzato da te e tu vieni da me?”. Da Gesù quasi nessuna spiegazione: “Lascia fare per ora”.

Solo dopo il battesimo, che ha visto Gesù come uno di noi, abbassato fino a terra, il cielo – chiuso dalla disobbedienza del primo uomo – si riapre. E lo Spirito scende. La voce del Padre indica Gesù come “il Figlio mio prediletto”. Come all’origine del mondo, come ad ogni creazione, Dio torna a parlare e il cielo ad aprirsi. Tutto converge su quell’uomo, in fila con gli altri uomini, che è il Figlio di Dio, il Messia, il Salvatore di ogni uomo e di tutto l’uomo. Si comprende, ora, perché la vita di Gesù, proprio dal battesimo, diviene “pubblica”: perché ora il discepolo sa che Egli è il Figlio prediletto e che nelle sue opere e nelle sue parole ci sono le parole e le azioni di Dio stesso.

Durante tutta la vita pubblica Gesù andrà a cercare i peccatori, si intratterrà volentieri e siederà a mensa con loro, al punto da scandalizzare le persone devote e attirarsi le loro critiche: “Ecco un mangione e un beone; amico dei pubblicani e dei peccatori” (Mt 11,19). E morirà sulla croce in mezzo a due ladroni, prendendo su di sé il peso di ogni peccato.

Mai, come in questi giorni, i desideri dei profeti e degli uomini di buona volontà sono compresi nel grido di Isaia: “Oh, se tu squarciassi i cieli e scendessi!”. In Gesù, Dio ha risposto, è sceso come Spirito santo. Spirito significa “vita”; santo significa “di Dio”. A noi è data la stessa vita di Dio e il mondo attende, in ogni luogo e in ogni volto, che questa vita nuova sia manifestata. Il mondo attende uomini e donne che vivono in terra, ma col cielo aperto sopra.

Angelo Sceppacerca