Geremia 38,4-6.8-10; Ebrei 12,1-4; Luca 12,49-57 Il dono del discernimento va costantemente richiesto a Dio mediante la preghiera e la meditazione della Parola. Senza discernimento, ovvero, senza riconoscimento vero di ciò che è bene e male, giusto e ingiusto, non si riesce ad interpretare i segni dei tempi nella logica del Vangelo. In questa terza domenica di agosto, cuore del periodo estivo, siamo invitati dall’evangelista Luca a non farci una immagine di Dio benevola ed esente da ogni tipo di durezza. Se lette e meditate troppo in superficie le parole di Gesù rischiano di non essere affatto comprese e quanto meno travisate. La durezza delle parole di Gesù sono come un’ascia che rompe la corazza dentro la quale l’uomo abita. È la corazza del compresso che cede ed apre alla perdita di identità e valori umani e spirituali. L’amore che Dio ha per l’uomo è pari a quel fuoco sempre acceso che Gesù è venuto a portare sulla terra. Un fuoco che vuole distruggere tutto ciò che va contro il fine per il quale l’uomo è stato creato: amare Dio tramite i fratelli e sorelle che egli incontra. È una passione forte e animata quella che muove Dio verso l’uomo; ed è la stessa che Dio stesso desidera che dall’uomo passi al suo simile. Appassionarsi all’uomo è possibile nella misura in cui lo si è di Dio. Vero è che ogni tipo di volontariato, non dettato da motivi religiosi e cristiani, trova il suo fondamento nel rispetto e difesa dei valori umani e della dignità di ogni essere. Ma per il cristiano tutto ciò non può bastare ed essere considerato sufficiente. Seguire il Cristo comporta la necessaria divisione da tutto ciò che impedisce di seguirlo, amarlo e servirlo. Seguire implica il tagliare che si trasforma in un potare “che porta più frutto”. È difficile staccarsi dai propri cari, dagli affetti personali e dai beni che circondano l’uomo; ma nel seguire il Signore si viene aiutati a dare giusto valore e peso sia alle persone che alle cose. Si pensi ad una giovane ragazza che entra in monastero e già nei primi anni di formazione alla vita contemplativa sperimenta il distacco dalla propria famiglia segnato dalle poche possibilità di visita e lo spogliarsi di tutti quegli accessori che sin ad allora erano parte integrante della sua vita (soldi, cellulare, macchina, ecc). Con occhi esterni, tale atteggiamento, viene letto come un essere fuori dal mondo e lontani dai tempi attuali. Ma non è così. Quando si scopre la perla preziosa nella propria vita, il Cristo, tutte le altre relazioni vengono viste sotto un’altra luce. Non divengono meno importanti, ma vissute con una nuova veste. I genitori della giovane monaca di clausura non saranno, da parte loro, meno genitori e da parte della ragazza meno figlia, ma nel reciproco rapporto la sua nuova famiglia è la comunità delle sorelle di appartenenza. Così dicasi per gli amici e le altre persone care. Questo ragionamento è più difficile a capirsi per chi rimane fuori dal convento che per chi è entrato, consapevole di ciò che ha scelto. La divisione, pertanto, di cui Gesù parla è la capacità di saper abbondare l’uomo vecchio e tutte le corazze/sicurezze, di cui si è circondato, per ritrovare l’autentico spirito che vive dentro di esso. Le stesse relazioni tra figli e genitori, fidanzati, sacerdote e fedeli, madre badessa e sorella di comunità se non vengono trapassate da questa divisione rimarranno sempre monche e deboli. La vera forza, dice Gesù, è nel saper riconoscere il passaggio del Cristo della fede nel Dio della storia. L’aver riconosciuto il passaggio di Dio comporta la scelta, la decisione, il determinarsi. Rimanere al bivio non serve tanto meno aiuta a progredire nell’edificazione del Regno. La vita di ogni parrocchia sappia sempre scuotere chi, a quel bivio, vuol mettere le radici. Giacomo Ruggeri