Apocalisse 11,19; 12,1-6.10; 1Corinzi 15,20-26; Luca 1,39-56
Che cosa ci fa parlare nel nome di Dio? La forza dello Spirito Santo e la sua azione nella nostra vita. Così è stato per Elisabetta nell’essere visitata da sua cugina Maria e così è per ogni persona quando non impedisce allo Spirito di agire. Nella solennità dell’Assunzione della Beata Vergine Maria siamo invitati a scrivere il nostro personale Magnificat che nasce dal cuore assetato di Dio. Come un fiume in continua attività per il suo carico d’acqua così il cuore dell’uomo che cerca Dio. Il miracolo più grande, assieme alla gravidanza di Elisabetta che darà alla luce il precursore di Gesù Giovanni il Battista, è quello del credere che Dio possa compiere cose grandi nella vita di ciascun individuo. Quel “beata colei” detto da Elisabetta a Maria è la beatitudine della fecondità, dell’essersi fatta grembo accogliente alle parole di Dio. Si è capaci di generare la speranza tanto quanto si è fiduciosi nell’accogliere Dio. La paura di darsi, affidarsi e donarsi totalmente e senza riserve è quello che più si riscontra nel cammino di fede, specie nel mondo giovanile. I giovani, capaci sempre di nuove risorse, sono portati a riflettere e ragionare in misura troppo marcata. Tale comportamento e atteggiamento porta il cuore del giovane a diffidare persino di se stesso, delle proprie potenzialità e capacità. La fede, come la stessa vocazione, non è frutto di ragionamenti a tavolino o contratti personali tra l’uomo e Dio giocati al ribasso. La fede è anticipo di credibilità sul futuro che si fa presente. Maria è l’esempio di tale anticipo, colei che non avendo ancora generato il figlio di Dio eleva al Padre una lode carica di futuro e pregna di speranza. Offriamo, nelle righe che seguono, alcune declinazioni attualizzate di qualche espressione del Magnificat. “Il mio spirito esulta in Dio”. L’uomo occidentale, rispetto a quello orientale, tende a razionalizzare quasi tutto e tutti; la tendenza a dover far passare tutto per la fenditura della ragione (cosa buona e corretta) lo porta, a volte, a dimenticarsi della parte più nobile che è la coscienza e in essa lo spirito dell’interiorità e dell’anima. C’è una indicazione precisa dietro tale espressione: Maria fa capire che al Signore non ci si rivolge solo con il frutto dei propri ragionamenti, ma con il palpito del proprio cuore e il sussulto della propria anima.
L’uomo non è un robot incapace di provare emozioni e sentimenti (nonostante le ultime invenzioni di robot con tale “accessorio”). È importante considerarsi come un tutt’uno che eleva a Dio il tutto di sé. Tale atteggiamento, che ovviamente non deve cedere allo sterile sentimentalismo, aiuta la persona ad armonizzare corpo e anima, mente e cuore. La fede cristiana è, per sua natura, occhio che piange, mano che chiede e dona, piede che corre, orecchio che ode. Maria ci esorta a ritrovare il gusto di una fede genuina che ha il sapore dell’umanità integrale dell’uomo. Nelle parole-preghiera di Maria c’è il rovesciamento della logica umana, ripresentando quella divina. Entrambe non sono in contrasto, ma l’una (umana) ritrova senso nell’altra (divina). Maria, nell’elevare a Dio il Magnificat, ci presenta lo stile di Dio, il suo modo di agire e amare. Ogni persona si senta chiamata a scrivere il proprio Magnificat guardando, come ha fatto Maria, all’agire di Dio nella storia della salvezza dell’Antico Testamento. Il passaggio di Dio nella storia di ogni persona, anche se rimane non accolto non rimarrà infecondo. “L’ho detto e lo farò”, dice la Scrittura. E la parola di Dio non mente e non tradisce. Stendere nero su bianco il Magnificat che Dio sta compiendo nella personale esistenza è quell’anticipo di credibilità che fa procedere verso il futuro con lo sguardo della fede. Giacomo Ruggeri