Proverbi 8,22-31; Romani 5,1-5; Giovanni 16,12-15
Nella solennità della Trinità ci viene mostrata la geniale modalità di fare comunione tra il Padre, il Figlio, lo Spirito. Ma non è una prerogativa esclusiva, ma inclusiva, ovvero che vuole racchiudere anche l’uomo e l’umanità in cui esso vive. Lungi dal pensare, perciò, che il cristianesimo sia un ergere paletti e steccati. Tutt’altro. SS. Trinità: quello stile di essere prossimi gli uni gli altri; di guardare insieme verso una meta comune, di sapersi attendere quando si rallenta e spronarsi quando ci si attarda. Il volto bello del cristianesimo che ci viene offerto dalla solennità della SS. Trinità è un invito a rivedere e ripensare il volto dei cristiani e dei credenti. Ma quale volto si mostra? Il parlare di Gesù mediante l’opera dell’evangelista Giovanni indica chiaramente che all’uomo si chiede la fede nel Padre sapendo compiere, giorno dopo giorno, quei passi necessari per credere e crescere. In quell’inciso “per il momento” c’è una indicazione a gustare il tempo umano secondo la logica del tempo di Dio. Si provi a pensare alla necessità come Chiesa di progettare assieme, ma ancora di più, di saper pensare insieme, ognuno con la propria specificità. Senza l’unità di intenti non si sarà “capaci di portarne il peso” di ciò che il Signore ha da dirci. Ecco, dunque, che Gesù stesso chiama in causa lo Spirito Santo quale guida “alla verità tutta intera” per l’uomo di ogni tempo. Essere guidati dallo Spirito di verità è garanzia che si sta compiendo la volontà di Dio. Ogni qual volta si vuole fare di testa propria è l’inizio della frantumazione e dispersione della verità, arrivando a non comprendere più il senso della vita, delle azioni da compiere. SS. Trinità: quel dito di un’unica mano che chiede di guardare in avanti. Ma viene da domandarsi: dove guardano i nostri occhi di genitori, sacerdoti, insegnanti, politici, giovani, monache, vescovi? Quel precisare di Gesù “egli vi guiderà e annunzierà” riferito allo Spirito di verità indica che l’ottica con la quale viviamo la vita, testimoniamo la fede, affrontiamo i problemi diviene, a sua volta, ottica per altri. Se il nostro guardare non è un lasciarsi guidare si diviene, a volte consapevolmente altre volte meno, guide cieche per altri fratelli e sorelle. Riflettere e meditare, pertanto, sulla SS. Trinità aiuta a ritrovare la giusta ottica, uscendo dall’individualismo per operare uno stile di comunione. “Prenderà del mio”: quella costola tolta da Adamo che genera Eva. La SS. Trinità dovrebbe essere quello stile per vivere la fede in parrocchia come un fecondarsi alla vita cristiana nella reciprocità. In questa direzione anche le difficoltà, le paure e ogni forma di timore non è una sottrazione alla gioia e alla pace, ma una possibilità che viene offerta all’uomo per radicarsi ancora di più in Dio. E radicarsi in Dio vuol dire lasciare che il Cristo si incarni nuovamente nella vita dell’uomo per mezzo dello Spirito Santo. La SS. Trinità non potrà mai essere una vita a compartimenti stagni, ma a vasi comunicanti. Quel volto che emerge dall’odierna solennità è una pedagogia ancora poco assunta e acquisita nell’agire pastorale e ancor meno nel ri-pensare la fede sia come singoli che come comunità. A tal fine non si archivi troppo in fretta questa festa, ma la si prolunghi come filigrana all’edificazione del Regno di Dio. Giacomo Ruggeri