Giosuè 5,9.10-12; 2Corinzi 5,17-21; Luca 15,1-3.11-32 È la parabola delle parabole. È l’essenza di cosa significa cristianesimo e cristiani. È l’arrivo e la partenza di ogni cammino personale e comunitario. Nel ringraziare il medico ed evangelista Luca che ci ha donato questa splendida pagina di Vangelo non possiamo accogliere quelle sane provocazioni che il capitolo quindici del terzo Vangelo continua a offrire. È come il visitare per ripetute volte la Cappella Sistina o quella degli Scrovegni: particolari nuovi, indicazioni inedite e colori visti sotto un’altra luce fanno dire che è sempre bello e nuovo ciò che si ha davanti. Così è con ogni pagina della Scrittura. Prima indicazione: mangiare con i peccatori e relazionarsi con loro fa letto nel sentirsi per primi peccatori e che il Signore Gesù vuole relazionarsi con noi. La smania e mania di considerare sempre gli altri peccatori di qualcosa fatto e che faranno, si annida quotidianamente nel cuore umano. La scelta di Gesù di sedersi con i peccatori è una chiara indicazione che a quella mensa non possiamo mancare e non si può delegare nessuno. Non solo: la voglia di vedere o mettere a sedere qualcun altro in quella tavola è di natura maligna. Coloro che sono in piedi e lo ascoltano dovrebbero essere i primi commensali al tavolo di Gesù chiedendo quel cibo e quella bevanda che li nutra nel profondo. Ma se si sceglie di stare in piedi e puntare il dito si avrà sempre lo stomaco vuoto e la rabbia nel cuore. Seconda indicazione: sentirsi nel bisogno quando non si ha più nulla, non va visto come una rivincita e vendetta del padre verso il figlio (quasi se dicesse: “Prima o poi dovrai tornare!” con tono poco paterno e benevolo). Avere bisogno è la salvezza per e dell’uomo. Perché è chiedendo che ci si salva, è nel tendere la mano che si aprono i propri occhi e lasciano cadere le cataratte dell’autosufficienza. Ma non basta avere bisogno, perché è importante sapere di che cosa e di chi. Le pennellate magistrali dell’evangelista Luca non sono buttate a caso ma poste con precisione e pregnanza di significato. Quel pane di cui si ha fame e quella casa in cui si anela abitare non sono mai lontano da noi stessi. Nella lontana si scopre la vicinanza; nel vivere la fede in un fai-da-te fuori dalla Chiesa si ha fame e desiderio di relazioni vive e autentiche. È un profondo e sincero esame di coscienza che il figlio giovane vive lontano da casa. È una coscienza che vuole ritrovarsi e disgelarsi dal quel freddo rapporto che si era instaurato con il Padre. Terza indicazione: “Ma dopo tutto quello che ho commesso chissà se Dio mi vuole ancora bene? Penso di averla commesso troppo grossa!”. Non c’è nulla che non può essere perdonato da Dio, semmai è l’uomo che fatica a perdonarsi e amarsi. Nelle situazioni e nei momenti della vita in sui si è tentati di dare una risposta negativa alla domanda sopra posta, gettiamo nel cuore quella forte parole: “Mi leverò e andrò”, pari a una pietra che rompe la cappa che impedisce di respirare. Pretendere di vivere senza levarsi e muoversi è illusorio. Si ritorna a vivere quando si da quello scatto di reni che spezza la rete del proprio senso di colpa e della condanna immediata. Ci sono delle braccia che ancora non hanno abbracciato, una bocca che non ha baciato, degli occhi che non vedono, dei piedi che attendono di correre. Sappi che tutto ciò attende te. Oggi, ora. E quella festa, allora, non finirà mai.
Giacomo Ruggeri