2Maccabei 7,1-2.9-14; 2Tessalonicesi 2,16-3,5; Luca 20,27-38
Nei giorni scorsi, la Chiesa ha inviato i fedeli tutti a riflettere sui cosiddetti Novissimi, ovvero, le realtà ultime per la vita dell’uomo che approdano alla vita eterna. L’occasione è stata data dalla festa di Tutti i Santi e della Commemorazione dei Defunti. Il brano del Vangelo di Luca della penultima domenica del tempo ordinario è, in un certo senso, il prolungamento e la spiegazione del senso della vita e della morte di ogni persona.
Le relazioni divine, con Dio, prendono vita e forma nelle relazioni terrene, dell’uomo con il suo simile. Il dire di Gesù – “i figli di Dio sono tali essendo figli della risurrezione” – sta ad indicare che la fede in Cristo è fede in Dio. Che cosa sarebbe la fede cristiana se Cristo non fosse risorto si chiede Paolo? Vana, vuota, senza senso e pienezza è la risposta. L’uomo crede in Dio in quanto il suo figlio Gesù è risorto: la grande differenza con le altre religioni. Il tema della risurrezione, e in generale dei Novissimi, trova poca aderenza nella catechesi ordinaria e predicazione pastorale. Perché tutto ciò? Come mai fatica, a volte, a trovare spazio di argomentazione nel dialogo tra parroco e fedeli, educatori e giovani, genitori e figli? Se non si indica costantemente in modo chiaro e deciso la meta del nostro peregrinare anche i passi più piccoli risulteranno incerti. Porre a tema di un anno pastorale l’espressione “Dio non è Dio dei morti, ma dei vivi” significherebbe ripensare ogni scelta comunitaria e personale alla luce della risurrezione.
Aiutare a risorgere è uno di quei ministeri sempre più urgenti nell’attuale contesto storico; di certo lo era anche in passato, ma oggi è più evidente e tangibile. Aiutare a risorgere significa servire l’uomo, ogni uomo, nel saper ritrovare senso e motivo dell’esistere, rimetterlo in piedi prima ancora di aiutarlo a camminare, aiutarlo a sentire la spina dorsale della propria personalità viva dentro di sé. Si pensi alle tantissime situazioni in cui una famiglia, un insegnante, un sacerdote, un educatore (per citare alcuni dei tanti ruoli sociali) si trova a dover stare in piedi e nel contempo aiutare a non cadere. È nella fede in Cristo, nella forza dello Spirito Santo, nel credere l’impossibile nel possibile senza elaborare troppi schemi razionali e mentali che si permette a Dio di operare cose grandi senza dover troppo insistere.
La vedovanza oggi, è anche sinonimo di rimanere soli nel credere, nell’amare, nello scegliere, nel vivere. Trovare lo sposo e la sposa vuol dire dare valore e spessore alle relazioni quotidiane che sigillano una forte amicizia in quanto proveniente da Dio. Si pensi all’amicizia tra sacerdoti, quell’amicizia bella, segnata da reciproca stima e sostegno vicendevole, parlandosi cuore a cuore e lasciandosi aiutare senza remore e false umiltà. È su questa terra che siamo o meno “giudicati degni dell’altro mondo” partendo dalle scelte compiute. Pertanto nella prassi ecclesiale, e in special modo nella catechesi dei fanciulli e degli adolescenti, si affermi costantemente e in modo chiaro l’importanza della risurrezione del proprio corpo in Cristo; la morte chiamata da San Francesco “sorella” ci deve spronare a chiamare anche noi la vita “sorella”. In tal modo si riuscirà a vedere e vivere in una diversa prospettiva le singole vicende umane quotidiane, dalle più belle a quelle più tristi e cariche di dolore. Se ognuno vive per Cristo egli diviene, a sua volta, faro che indica la meta, segnale che guarda al fine, passo che procede con fiducia filiale in Dio.
Giacomo Ruggeri