Domenica 4 novembre

Sapienza 11,22-12,2; 2Tessalonicesi 1,11-2,2; Luca 19, 1-10 Siamo nell’ultimo tratto del cammino di Gesù verso Gerusalemme. Gesù sta entrando a Gerico, una città di confine tra la Perea e la Giudea e incontra due personaggi emblematici: un cieco di nome Bartimeo (Marco ce ne fornisce il nome) e un pubblicano di nome Zaccheo, prototipi di una fede che salva. I due casi si verificano ai margini della strada mentre Gesù sta attraversando la città e ambedue infastidiscono le folle che assistono alle due scene narrate. Il cieco infastidisce con le sue grida stridule scomposte; lo invitano insistentemente a tacere, ma lui aumenta il volume per farsi ascoltare dal maestro che passa: “Gesù, figlio di Davide, abbi pietà di me!”. Lo stesso grido dovette scattare inconsciamente anche nel cuore di Zaccheo appollaiato su un albero là vicino a vedere Gesù che passa. C’è un anelito di fede in ambedue. Comunque i due avvenimenti vogliono mettere in risalto la salvezza corporale e spirituale portata da Gesù. Questi è venuto a sanare l’uomo nel corpo e nello spirito. Il vivace racconto di Luca su Zaccheo completa la lunga serie di insegnamenti sui pericoli delle ricchezze. Tra questi spiccano le figure del notabile ricco, che chiedeva indicazioni per ottenere la vita eterna (18,18-23), e del ricco della parabola, che in vita aveva ignorato l’estrema povertà di Lazzaro alla sua porta (16,19-31). Due fallimenti che incidono profondamente sul futuro degli interessati. Appena dopo il fallimento del dialogo col notabile ricco, l’evangelista si preoccupa di raccontarci il successo del dialogo di Gesù con Zaccheo, anche lui presentato come notabile ricco in quanto capo dei pubblicani. Gerico, città di confine, aveva un importante ufficio per la discussione di dazi e pedaggi per le merci che provenivano dalla Perea e dirette a Gerusalemme. A capo di questo ufficio di appalto delle imposte c’era Zaccheo conosciuto da tutti come uomo avaro, corrotto e profittatore. La sua vita contraddiceva il suo nome “Zakkai”, che significa “giusto, puro”. Era piccolo di statura, ma curioso di vedere chi fosse quel Gesù tanto famoso e che poco prima aveva aperto gli occhi ad un cieco della sua città. Corre avanti sulla via, dove c’è meno folla e sale su un sicomoro, un albero che ha rami bassi facilmente scalabili. Nella confusione nessuno nota la poca dignità del suo comportamento, così non rischia di apparire ridicolo. Solo Gesù lo degna di particolare attenzione e lo chiama per nome, invitandolo a scendere. Si sono invertite le parti: prima era lui che cercava Gesù, ora è il maestro che cerca lui, proprio lui, il pubblicano da tutti esecrato e scansato. L’incontro inaspettato dice anzi che è proprio Gesù ad anticiparlo nella ricerca. Dio ci previene sempre, quando noi arriviamo, lui è già lì ad attenderci da tanto tempo per dirci: “Oggi devo venire a casa tua”. Ancora una volta Luca traduce con “oggi” la vicinanza del Signore e della sua salvezza e vi associa la gioia dell’accoglienza cantata dagli angeli a Natale (2,11). Venendo nel mondo, il Figlio di Dio ha sempre chiesto ospitalità dal momento in cui nacque a Betlemme fino a quando celebrò la sua ultima cena a Gerusalemme. Diceva: “Il Figlio dell’uomo non ha dove posare il capo” (Lc 9,58). Ancora oggi chiede ad ognuno di fargli posto in casa sua: “Sto alla porta e busso; se uno mi apre, entrerò da lui e cenerò con lui” (Ap 3,20). Il racconto raggiunge il suo culmine quando Gesù si autoinvita a casa di Zaccheo, vuole addirittura pernottare da lui (il verbo greco usato: “kataklìnein”, significa proprio “pernottare”). Il pubblicano, scomunicato da tutti, non avrebbe mai osato tanto, perché consapevole della sua indegnità e del suo stato di peccatore maledetto. Lo percepisce ancora più chiaramente dalle mormorazioni e dalle critiche che escono dalla bocca di tutti. La folla è scandalizzata e indignata dal comportamento di Gesù e commenta significativamente: “È andato ad alloggiare da un peccatore”. Zaccheo è lì, in piedi, ammutolito davanti a Gesù, profondamente toccato da quella amicizia che nessuno ha mai avuto per lui; è confuso dentro e toccato dalla grazia, ma sa far bene ancora i suoi calcoli che gli turbinano nel cervello da contabile. La conversione che sente salire dal cuore lo induce per la prima volta in vita ad essere generoso. Egli esprime tutto d’un fiato il suo proposito: “Ecco, Signore, io do la metà dei miei beni ai poveri; e se ho frodato qualcuno restituisco quattro volte tanto”. Ha fatto tutto da sé, Gesù gli ha chiesto solo ospitalità. La legge ebraica chiedeva di erogare appena un quinto in carità per i poveri e nelle restituzioni chiedeva al massimo il venti per cento di interessi. Zaccheo dona senza calcoli, con estrema generosità. Riceve così la lode soddisfatta di Gesù che dichiara: “Oggi la salvezza è entrata in questa casa”. Sembrerà strano che non richieda a Zaccheo di dare tutto ai poveri come ha fatto col notabile ricco poco prima (18,22). Se questi avesse dato tutto ai poveri come avrebbe potuto rimborsare i suoi debitori? Evidentemente Dio non chiede a tutti le stesse cose, come un esattore inflessibile. Chiede a tutti distacco, generosità, apertura di cuore e condivisione, ma a ciascuno secondo le sue possibilità. Le chiamate sono tante e varie; il corpo di Cristo non è costituito da un membro solo, la sua ricchezza sta nella diversità delle membra (1 Cor 12,4-11). Il racconto porta una duplice conclusione: nella prima Gesù annuncia che, con lui, la salvezza è oggi entrata nella casa del peccatore, coinvolgendo l’intera famiglia. Lui e i suoi sono divenuti veri figli di Abramo in senso cristiano, per la somiglianza di fede con il suo antenato e per la familiarità nuova stabilita con Dio (Gal 3,7). Nella seconda conclusione Gesù enuncia lo scopo centrale della sua missione valida tutti i tempi: Egli è venuto a cercare i peccatori a conversione. Le sue parole richiamano la parabola della pecorella smarrita ricercata e trovata con immensa gioia. È semplicemente paradossale che Dio sia in cerca amorosa di noi, come se avesse bisogno dell’uomo, di ogni uomo, specie il più lontano da lui. La sua più grande gioia è trovarci e condividere con noi la sua calda amicizia. Ospite nella nostra casa del cuore, in attesa di essere noi suoi ospiti in cielo. Zaccheo da maledetto diventa un esempio per noi. Questi sono i miracoli di Dio. Oscar Battaglia