Isaia 50,5-9; Giacomo 2,14-18; Marco 8,27-35 Gesù fa ai suoi discepoli una strana intervista, per sapere che cosa la gente dice o pensa di lui. In realtà egli non ha bisogno di queste informazioni, gli interessa piuttosto la dichiarazione dei suoi discepoli, per sentire dalla loro voce una chiara professione di fede nella sua divinità. Chi è per noi? La domanda rivolta da Gesù suoi discepoli: “Chi dice la gente che io sia?”, interpella anche noi, uomini e donne di questo tempo, nel mezzo di una vistosa crisi di fede. Quanto peso ha Cristo e il suo Vangelo nella nostra cultura, nella civiltà di oggi. Difficile dare una risposta, ma nel suo insieme, si può dire che “la civiltà dell’amore” non ha fatto, da noi, molta strada. Ed è proprio questo che ci dà il polso della situazione.
Si parla spesso di “valori cristiani” che stanno alla base della nostra civiltà occidentale, che è vero, ma poi nei fatti ci troviamo di fronte a dei comportamenti che sono ben diversi. Chi è per noi, oggi, Gesù Cristo? È e resta una domanda sempre aperta, con la quale la nostra coscienza è chiamata a confrontarsi. Di fronte a Colui che ha dato le prove di essere il Figlio di Dio, non possiamo restare neutrali, ci corre l’obbligo di una risposta meditata e sincera. Doveva soffrire molto. La risposta sull’identità di Gesù, a nome di tutti i discepoli, fu data da Pietro: “Tu sei il Cristo”. Precisa e perfetta. Gesù la condivide e coglie l’occasione per anticipare ai suoi ciò che sarebbe toccato al Figlio dell’uomo: “Doveva molto soffrire ed essere riprovato dagli anziani, dai sommi sacerdoti e degli scribi, poi venire ucciso e dopo tre giorni resuscitare”. La profezia non piace a Pietro, che “prese Gesù in disparte e si mise a rimproverarlo”. Ma egli, voltatosi, guardando i discepoli, rimproverò Pietro e gli disse. “Lungi da me, satana! Perché tu non pensi secondo Dio, ma secondo gli uomini” .
Un terribile rimprovero, proprio a colui che Gesù avrebbe poi scelto capo e fondamento della sua Chiesa. La colpa? Non aver condiviso il progetto di Dio per la nostra salvezza. Progetto che aveva un suo contenuto doloroso, già predetto da Isaia: “Non mi sono tirato indietro: Ho presentato il dorso ai flagellatori, la guancia a coloro che mi strappavano la barba, non ho sottratto la faccia agli insulti e agli sputi”. Un’anticipata descrizione della passione con i suoi protagonisti: anziani, sommi sacerdoti e scribi. Proprio l’autorità religiosa costituita l’avrebbe rifiutato e condannato. Ma “doveva” avvenire così, anche se per noi è difficile capire, come avvenne a Pietro. Non sempre i progetti di Dio sono per noi di facile comprensione! Rinneghi se stesso. L’argomento della passione provoca in Gesù un’altra riflessione: la natura del suo discepolo, che non potrà essere diversa da quella del maestro. “Se qualcuno vuol venire dietro di me, rinneghi se stesso, prenda la sua croce e mi segua”. Non è una prospettiva tanto piacevole, ma Gesù non intende illudere nessuno. Ed aggiunge: “Perché chi vorrà salvare la propria vita la perderà; ma chi perderà la propria vita per causa mia e del Vangelo, la salverà”.
Parole ancora più misteriose, che indicano però una concezione nuova della vita, come discepoli di Cristo. La vita non più considerata come una fortuna o un dono da vivere per se stessi, ma come un servizio da rendere agli altri. Proprio imitando Colui che ha scelto di porre la sua vita a nostro servizio, sino al sacrificio della croce. Un vero capovolgimento, un ribaltamento di valori che è possibile vivere solo dicendo “no” a se stessi, alle proprie voglie e ambizioni. Una scelta di vita difficile ma esaltante, un proposta che molti hanno accolto e molti altri sanno scegliere ancora.
Carlo Caviglione