Giosuè 24,1-2.15-17.18; Efesini 5,21-32; Giovanni 6,60-69 È il tempo ormai della scelta decisiva. Gesù chiede ai suoi discepoli un atto di fede in lui, nella sua parola e nella sua persona. Due sono i tavoli di confronto: l’Eucaristia e l’Incarnazione. Su questi si confronta la fedeltà dei discepoli. Un linguaggio duro. Cominciano le prime contestazioni a Gesù, dopo che lui aveva promesso di dare la sua carne da mangiare e il suo sangue da bere. Non può stupirci l’espressione dei presenti: “Questo linguaggio è duro, chi potrà intenderlo?”. Certo la ragione non poteva comprendere, se non con l’aiuto della fede. L’uomo non può pretendere di capire sempre, con la sola ragione, ciò che Dio gli propone. Deve avere l’umiltà di riconoscere i suoi limiti, che sono tanti.
Solo ponendosi in questo atteggiamento di accoglienza e di umiltà, potrà più facilmente penetrare nel mistero, in quelle “cose nascoste” che Gesù ha detto di voler rivelare ai “piccoli”. Per molti il linguaggio del Vangelo, ancora oggi, rimane duro perché non sono in grado o non vogliono guardare alla parola di Dio con occhio semplice, con la mente sgombra di tanti pregiudizi che la cosiddetta cultura ha seminato lungo la storia. Lo Spirito che da la vita. Per accogliere la verità, che viene da Dio, non basta la nostra ragione poiché si tratta di una parola che scende dall’alto. Gesù riprende i suoi ascoltatori increduli con le parole: “È lo Spirito che dà la vita, la carne non giova a nulla, le parole che io vi dico sono spirito e vita. Ma vi sono tra voi alcuni che non credono”. Gesù sapeva bene chi stava per abbandonarlo, anzi per tradirlo. Ma non attenua il senso delle sue parole che sono “spirito e vita”.
Infatti, Egli è venuto per nutrire non il corpo (come aveva fatto nel miracolo del pane), ma lo spirito dell’uomo, la dimensione più importante e che costituisce la vita stessa, nella sua espressione più alta. La nostra società ha saputo dare molto per migliorare l’aspetto materiale della nostra vita, ma ha dimenticato, in buona parte, che “non di solo pane vive l’uom”. Abbiamo così questa dolorosa e sofferta discrasia. L’uomo che vive a una sola dimensione e vive male. Sente sempre più il disagio del suo spirito inaridito e spento. Tu hai parole di vita eterna. È venuta l’ora della scelta. Di fronte al disagio dei Dodici, Gesù chiede chiaramente: “Forse anche voi volete andarvene?”. Gli rispose Simon Pietro: “Signore, da chi andremo? Tu hai parole di vita eterna; noi abbiamo creduto e conosciuto che tu sei il Santo di Dio”. Parole chiare. Una scelta senza riserve: “Abbiamo creduto e conosciuto”. Fede e conoscenza. Stranamente una fede che precede la stessa conoscenza.
Vi sono ancora taluni che si dicono, e si credono, cristiani, ma non hanno mai fatto, da adulti, una vera scelta di fede. Cristiani di tradizione, ma non di convinzione. Sono rimasti in mezzo al guado, limitandosi a seguire la corrente, nel bene e nel male. Al contrario la fede, oltre che un dono, deve essere una scelta. Deve mettere in gioco prima la nostra conoscenza e, dopo, la nostra volontà. Non è facile dire di sì a Cristo. È però l’unica condizione per dirci cristiani.
Carlo Caviglione