Domenica 20 agosto

Proverbi 9,1-6; Efesini 5,15-20; Giovanni 6,51-58 Gesù continua il difficile discorso sul pane di vita e identifica se stesso con il pane e il vino che, nell’Ultima Cena, diventerà il suo corpo da mangiare e il suo sangue da bere. Solo chi si nutrirà di questo alimento, potrà conseguire la vita eterna. Per la vita del mondo. Gesù è venuto perché tutti abbiano la vita e l’abbiano in abbondanza. Tuttavia, non era possibile prevederne il modo. Ora egli lo dice espressamente: darà la sua carne da mangiare e il suo sangue da bere. Chi ne mangerà e ne berrà, vivrà in eterno: “Il pane che io darò è la mia carne per la vita del mondo”. Si tratta di una condizione essenziale.

Tutti hanno bisogno di questo alimento, poiché Gesù parla di “vita del mondo”. Per avere la vita vera, non si può dunque farne a meno. Non ci possono essere riserve o discussioni in merito, anche se possono esistere reali difficoltà a comprendere. Ancora oggi, non tutti i cristiani sono d’accordo sulla reale presenza di Cristo nel pane e nel vino consacrati. È uno dei punti sui quali è ancora difficile un consenso ecumenico, quel consenso che non fu neppure a principio, tra gli ascoltatori di Gesù che “si misero a discutere tra loro”. Vero cibo, vera bevanda. Gesù parla ora per dare risposta ai suoi ascoltatori che dicono: “Come può costui darci la sua carne da mangiare?”. La risposta non riguarda il modo, ma la sostanza: “Se non mangiate la carne del Figlio dell’uomo e non bevete il suo sangue, non avrete in voi la vita. Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue ha la vita eterna e io lo risusciterò nell’ultimo giorno”. Solo la risurrezione riguarda il futuro, mentre la vita eterna è già presente.

È una realtà nuova, prima sconosciuta: avere in sé la vita eterna in questa nostra esistenza terrena. Noi apparteniamo già alla vita stessa di Dio, poiché ci nutriamo di lui: “Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue dimora in me e io in lui”. È un’appartenenza vitale, intima e profonda. Non sempre ce ne ricordiamo: quando ci accostiamo alla mensa eucaristica, non pensiamo abbastanza a questa realtà profonda, che dovrebbe trasformare davvero tutta la nostra vita. Vivrà per me. In che consiste questa trasformazione? “Come il Padre, che ha la vita – spiega Gesù – ha mandato me e io vivo per il Padre, così anche colui che mangia di me vivrà per me. Questo è il pane disceso dal cielo, non come quello che mangiarono i padri vostri e morirono. Chi mangia questo pane vivrà in eterno”. Questa dichiarazione ribadisce ancora l’assoluta necessità di mangiare la carne e bere il sangue di Cristo. Cristo è l’unico salvatore: l’uomo per salvarsi deve essere completamente sostenuto, alimentato e trasformato in lui.

Il tema della comunicazione della vita divina nell’uomo, che si trova così inserito in Dio, è sviluppato in questo prezioso e difficile brano del Vangelo. Infatti la formula “rimane in me e io in lui”, esalta la dimensione personalistica del nostro rapporto. Basta guardare all’insistenza particolare dei pronomi personali del dialogo “mio, io, lui, suo”. Si tratta in realtà di un rapporto interpersonale. La creatura partecipa della vita stessa del Creatore. Un rapporto che Gesù aveva espresso con il termine amicizia: “Non vi chiamerò più servi, ma amici”. Questa è la nuova condizione nostra e di quanti si nutrono del nuovo alimento spirituale.

Carlo Caviglione